Da vivo e non da morto, ovviamente: Ambrogio Fogar, assicuratore, velista, esploratore, conduttore televisivo, scomparso nel 2005, non mi era molto simpatico. Perché secondo me era più apparenza che sostanza. Perché per le sue imprese cercava gli sponsor, come il grande Reinhold Messner, ma, mentre lo scalatore altoatesino firmava poi imprese memorabili, lui si metteva spesso nei casini. A mio parere, e, ripeto, con tutto il rispetto e la cristiana pietà per un uomo che è vissuto su una sedia a rotelle per anni prima di morire d'infarto, era più un bravo assicuratore che un esploratore. Al massimo, questo lo concedo, era un buon velista. Ebbene, la sua fallimentare "Operazione Polo Nord" del 1983, quando portò al Polo il simpatico cagnetto Armaduk, mi fece molto arrabbiare. Così, al suo rientro, in occasione della conferenza stampa nella sede della Gazzetta dello sport ebbi il coraggio di contestarlo in pubblico, togliendo la scena agli altri giornalisti. Fu un vero attacco frontale e riuscii a metterlo alle corde, anche se lui mantenne l'aplomb, cercando di sminuire le mie accuse. In realtà gli contestai cose che erano già diventate pubbliche durante la sua "impresa". Soprattutto il fatto che il suo obiettivo di raggiungere il Polo Nord a piedi con la sola compagnia dell'husky Armaduk era fallito in quanto aveva compiuto 180 chilometri degli 800 previsti... a bordo di un piccolo aereo. Fogar non si scompose: confermò di essere salito su quell'aereo il 12 aprile, coprendo un percorso di 180 chilometri, ma io gli contestai che secondo i dati forniti dall'americano Lee Houtchins, che era in collegamento con lui via satellite, ci sarebbero stati dei lunghi silenzi "artificiali", dal 13 al 21 marzo, dal 23 al 29 marzo e dal 12 al 21 aprile. E che dal 23 al 29 marzo sarebbe riuscito a percorrere la bellezza di 220 chilometri, con una media impossibile di 37 chilometri al giorno. Qui la difesa di Fogar fu un po' fragile: "L'apparecchio satellitare può sbagliare. E comunque io avevo già ammesso, negli articoli che pubblicavo sul Corriere, che l'impresa sportiva era fallita. Ma aveva vinto l'impresa umana. Io ho dimostrato però di essere stato 50 giorni sul pack, resistendo a temperature di 40, 50 gradi sotto lo zero, resistendo alle raffiche del blizzard. Il mio dovere l'ho fatto".
Sapevo di averlo messo in dificoltà e gli ricordai alcune sue "marachelle" precedenti. Per esempio nel suo libro 400 giorni intorno al mondo, che descriveva la circumnavigazione del globo a bordo del Surprise, aveva alcune pagine dal libro Trekka intorno al mondo di John Cuzzwell. E gli ricordai anche le polemiche sorte, quattro anni prima, quando fu coinvolto nella tragica avventura in cui perse la vita il giornalista toscano Mauro Mancini. Ma anche qui, neanche un plissé: "Per il libro il tribunale mi assolse, e per la morte di Mauro il tribunale accertò che io non avevo alcuna responsabilità". Quella conferenza stampa finì così, con sguardi reciproci di ghiaccio. Ma la fama di Fogar era rimasta inossidabile. Ambrogio era nel cuore della gente. Un po' meno degli sponsor, il Maglificio Calzificio Torinese (che deteneva i marchi Robe di Kappa e Jesus Jeans che per l'impresa di Fogar aveva firmato un contratto. Parlai con Massimo Garbaccio, allora addetto stampa della società che aveva sponsorizzato Fogar. "Sottoscrivemmo il contratto", mi disse "nel quale si stabiliva che Fogar avrebbe conquistato il Polo Nord senza usare ausili meccanici. Ora l'utilizzazione dell'aereo dimostrerebbe che non è stato rispettato. A noi interessava soltanto che l'impresa sportiva andasse in porto. Accerteremo la verità. Se verrà confermato quello che crediamo di sapere, prenderemo provvedimenti". Ma il "popolo" era per Fogar e l'"aerostoppista" fece un figurone da Tortora, a Portobello. Nove anni dopo, il 12 settembre 1992, Fogar fu vittima di un gravissimo incidente in Turkmenistan, durante una tappa del raid Pechino - Parigi e rimase quasi completamente paralizzato. Ma nel 1997, su una sedia a rotelle basculante, partecipò al Giro d'Italia in barca a vela. Morì il 24 agosto 2005 per infarto e le sue ceneri furono tumulate nella cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.
I ricordi (e non solo) di oltre cinquant'anni anni di carriera di un testimone del tempo
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