Il mio pensiero all'anno che verrà (ormai imminente) è in dialetto parmigiano. È il mio saluto acido al Venti Venti e il mio benvenuto, pieno di speranza, al Venti Ventuno. Auguri a tutti
I ricordi (e non solo) di oltre cinquant'anni anni di carriera di un testimone del tempo
Pagine
- Home page
- ARTICOLI E INTERVISTE>>>
- Gente
- Gazzetta
- Parma bell'arma
- Bolero
- Eva
- Antenna Nord
- Pramzanblog
- Videomaker
- PRAMZANBLOG REVIVAL>>>
- Parma da riscoprire
- Interviste
- Dialetto
- Parliamoci chiaro
- Chiedi
- Nonsoloverdi
- Molossi
- Ferraguti
- Pier Paolo Mendogni
- Storia
- Renzo Allegri
- Articoli
- Zona franca
- Tamara, l'autobiografia
- Michelotti
giovedì 31 dicembre 2020
Pensiero stupendo: il 2021 sarà migliore
Il mio pensiero all'anno che verrà (ormai imminente) è in dialetto parmigiano. È il mio saluto acido al Venti Venti e il mio benvenuto, pieno di speranza, al Venti Ventuno. Auguri a tutti
martedì 29 dicembre 2020
Cinema e realtà: il film del momento
L’incredibile storia
dell’Isola delle rose
È uscito da pochi giorni su Netflix il film ispirato a una vicenda del 1968
che ha fatto storia, quando in acque extraterritoriali, ma a poche
miglia da Rimini, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, costruì una piattaforma che trasformò in uno Stato indipendente - Film divertente,
con un cast che annovera tra gli altri Elio Germano, straordinario
protagonista, Fabrizio Bentivoglio e Luca Zingaretti -
Il film è e divertente, anche se la realtà storica, come spesso capita in questi casi, è parzialmente deformata
di ACHILLE MEZZADRI
Nel primo periodo in cui lavoravo alla Rusconi, nel settimanale allora diretto da Mario Palumbo, ero al telefono con il grande Giorgio Torelli quando arrivò Mario, che era cresciuto a Parma nella Legione Carabinieri essendo figlio del comandante, e gli chiese: “Come si fa a essere un vero parmigiano?”. Torelli non fece una piega. “Semplice, caro Mario, bisogna essere immaginifici”. E certamente immaginifico, ma all’ennesima potenza, fu l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa (nato nel 1925 e scomparso nel 2017) che addirittura si inventò una piattaforma in acqua extraterritoriali, a 6,27 miglia nautiche da Rimini, che trasformò in Stato indipendente. Non era parmigiano, l’ingegner Rosa, ma sempre emiliano era. Sarà l’aria…sabato 26 dicembre 2020
Una nuova rubrica: "Pensieri in libertà"
Giù la maschera
Il 2020, anno bisesto, è stato l’anno della pandemia e, quindi, delle mascherine protettive - Grazie ai vaccini ce ne liberemo, prima o poi, ma riusciremo a toglierci
la maschera, dietro la quale spesso ci nascondiamo nel tentativo di dare al prossimo un’immagine diversa di noi?
Nel 2020 anno bisesto, siamo diventati esperti nostro malgrado di mascherine protettive. Sappiamo tutto delle differenze tra quelle chirugiche, le FFP1, FFP2, FFP3, siamo perfino caduti nelle tentazione di indossare quelle fashion come se dovessero servirci per una “prima” alla Scala. Ci hanno insegnato ad usare le mascherine e ci siamo abituati, anche se alcune ci fanno venire le orecchie a sventola. Alterniamo le chirurgiche alle altre, le monouso alle lavabili, sono entrate insomma nel nostro guardaroba, al pari dei calzini. Però, nonostante l’assuefazione, non vediamo l’ora di disfarcene. Tranquilli, accadrà. Grazie al vaccini nel 2021, per tutti o quasi arriverà il tempo in cui potremo dire addio a...
martedì 15 dicembre 2020
Le interviste indimenticabili: Bruno Rossi
DA PARMA A PARMA, PASSANDO PER IL MONDO
Nell'aprile 2013 il grande giornalista parmigiano, già inviato della "Domenica del Corriere" e del "Corriere della sera", nonché già direttore della "Gazzetta di Parma", compì 80 anni e gli dedicai 15 pagine su Pramzanblog - Un articolo prezioso, perché Bruno mi parlò di tutto: della sua infanzia a Parma, della sua passione per il giornalismo, dei suoi primi passi alla "Gazzetta", di quando spiccò il volo per Milano, del trio Chierici-Rossi-Barigazzi che Aldo Curti chiamava amabilmente "i tri sjochètt", di quando fece l'orango per 40 minuti e di quando incontrò, per caso, Madre Teresa di Calcutta - Mi spiegò perfino l'origine dell"ambaradan"
Parma ha regalato al giornalismo nazionale, e non solo, decine e decine di "penne d'oro", giornalisti che hanno girato il mondo scrivendo pagine della storia contemporanea. Inviati, direttori, autori di libri che sono enttati in tutte le biblioteca. Non è questo il momento di ricordare tutti i nomi, che sono tanti, ma di ricordare una memorabile intervista che feci, nell'aprile 2013, per Pramzanblog, a Bruno Rossi, nativo di borgo del Naviglio. Da quel borgo, dopo il tradizionale e inevitabile tirocinio alle redazioni locali dell' Avvenire e del Resto del Carlino e poi alla Gazzetta di Parma, spiccò il volo per le grandi testate, così come i suoi compagni d'avventura alla cronaca della Gazzetta, Maurizio Chierici e Giuseppe Barigazzi, con i quali dall'indimenticabile Aldo Curti si vide affibbiare l'amabile appellativo di "i tri sjochètt". L'intervista del 2013 a Rossi è stata certamente una delle più belle che ho scritto e credo che sia buona cosa riproporla. Eccola.
domenica 13 dicembre 2020
Torna "Bón Nadäl ala pramzàna"
sabato 12 dicembre 2020
La diretta di "Believe in Christmas"
Sontuoso ed emozionante spettacolo che il tenore ha regalato al mondo, affiancato dalla figlia Virginia di 8 anni - Musiche di ambientazione natalizia, con la partecipazione di grandi star, come il mezzosoprano Cecilia Bartoli, Zucchero, il soprano Clara Barbier Serrano e la violinista Anastasiya Petrishak - Orchestra del Teatro del Silenzio, condotta da Steven Mercurio
di ACHILLE MEZZADRI
Ventidue euro spesi bene. Assistere a uno straordinario concerto in diretta dal Teatro Regio di Parma con Andrea Bocelli Cecilia Bartoli, Zucchero, il soprano Clara Barbier Serrano e la violinista Anastasiya Petrishak per 22 euro non capita tutti i giorni. Spettacolo sontuoso ed emozionante questo Believe in Christmas, di grande valore artistico. Un Regio privo di pubblico, ma riempito dal calore della voce di Bocelli e degli altri cantanti, dalle straordinarie coreografie di Tiziana Pagliarulo, dall'Orchestra del Teatro del Silenzio, condotta da Steven Mercurio, dal Coro del Teatro Regio diretto magistralmente come solito dal maestro Martino Faggiani. Veniva voglia di mettersi in smoking, seppur seduti davanti allo schermo del computer. Bocelli ha emozionato con brani celebri come...
venerdì 11 dicembre 2020
Gazzetta di Parma, il primo amore
DA UNA SCATOLA SPUNTARONO
I NUMERI INTERNI DELLA “GAZZA”
Basta niente per farsi prendere dalla nostalgia: è sufficiente aprire una scatola e trovarvi un cartoncino con stampati i numeri interni del giornale dove è cominciata la tua carriera - Molti nomi, purtroppo la maggioranza, sono di colleghi, anzi di amici, che non ci sono più - Schiaretti 33, Molossi 20, Bellè 44… - Rivedere quei numeri è come rivivere quei tempi lontani, quando alla “mia” Gazzetta si viveva ancora l’epopea dell’”uno per tutti, tutti per uno” e ci si ritrovava con le famiglie anche in discoteca o per una gita…
di ACHILLE MEZZADRI
giovedì 10 dicembre 2020
Anche "Pablito" ci ha lasciati
La scomparsa di Paolo Rossi
QUELLA BUGIA QUANDO
SI SPOSÒ CON SIMONETTA
Nel numero 37 del 1981 di Gente il grande Pablito (soprannominato così dal Mundial in Argentina del 1978), che ancora non aveva finito di scontare la lunga squalifica inflittagli dalla giustizia sportiva per il calcioscandalo, firmò il diario delle sue nozze a Vicenza con Simonetta Rizzato, la sua prima moglie - Ora posso svelare il retroscena di quello “scoop” - Conoscevo Rossi da due anni, dal tempo del clamoroso processo sportivo
di ACHILLE MEZZADRI
Dopo Maradona, anche Pablito. Le stelle si accendono e si spengono e l’universo le sostituisce con altre. Ma restano nei cuori di chi, con quelle stelle, ha gioito e pianto. E sognato. Paolo Rossi, da poche ore stroncato a 64 anni da un male inesorabile, non aveva ancora compiuto 22 anni quando, dal 1° al 25 giugno del ’78, indossò la maglia azzurra al mondiale in Argentina e con i suoi tre gol contribuì al lusinghiero quarto posto del l’Italia. E il giornalista Giorgio Lago coniò per lui il soprannome di Pablito. Fu infatti in quel mondiale che si accese la stella di Pablito, quel ragazzo di Prato che si era fatto le ossa nelle giovanili della Juventus, ma che aveva cominciato a farsi conoscere, due anni prima, con la maglia del Lanerossi Vicenza. Nei giorni di quel Mundial in Argentina gli italiani si innamorarono di Pablito e rimasero increduli, nell’80, quando quel ragazzo che li aveva abbagliati con i suoi gol, fu coinvolto nel vergognoso calcioscandalo. Lui si dichiarò sempre innocente, ma la giustizia sportiva non fu del suo avviso e gli comminò una lunga squalifica. La stella di Pablito sembrava ormai spenta, invece si riaccese nel 1982, quando il mai dimenticato Enzo Berarzot, che l’aveva lanciato nel Mundial argentino, a squalifica scontata lo rivolle in azzurro. E fu trionfo. Sei gol (con una memorabile tripletta al Brasile) titolo di capocannoniere del torneo e, soprattutto, grande protagonista del mondiale vinto. Fu in quegli anni che mi occupai più volte di Rossi. A quel tempo....
giovedì 5 novembre 2020
Quei ragazzi dell'e-commerce
Proprio così: un giornalista continua la sua professione anche dopo la pensione. Chiamiamola come si vuole: una malattia, una piacevole consuetudine, un tic. Io preferirei chiamarla "una necessità". La necessità di raccontare la vita e i suoi protagonisti, grandi e piccoli. Per questo mi sono interessato e mi interesso alla storia di Federica e Filippo, due ragazzi di trent'anni cresciuti a Milano ma di origine messinese. Due ragazzi che si sono tuffati, e subito con successo, in un'avventura imprenditoriale, con i tempi che corrono. Due ragazzi che non si sono messi a imprecare ai tempi grami, alla sfortuna, ma che i sono rimboccati le maniche e hanno scelto l'e-commerce, il commercio online, per far conoscere a tutta l'Italia i prodotti della loro terra d'origine, con "Appa Messina". Due volte meritevoli, per il coraggio e per l'infinito amore per la Sicilia. Per questo ho voluto dedicare a loro e alla loro passione un breve video, che ho intitolato "Quei ragazzi dell'e-commerce".
mercoledì 15 luglio 2020
Il compleanno di Alberto Michelotti
I 90 anni di un “genio” di Parma
BUON COMPLEANNO BARACÓN!
Il mio amico Alberto Michelotti, grande ed arbitro internazionale di calcio, grande icona della parmigianità e grande Don Carlo del club dei 27, nella sua vita è sempre stato un “pezzo da 90” ma oggi l’appellativo gli si addice in pieno Tutta Parma e tutto il mondo dello sport sono sempre stati fieri, e lo saranno sempre, di quest’uomo dell’Oltretorrente, (da giovane soprannominat Baracón), che con la sua energia, la sua simpatia e il suo altruismo continua a lasciare il segno e va controcorrente in una società che non merita più uomini come lui
di ACHILLE MEZZADRI
Quanto tempo è passato Baracón! Sì, da quel giorno, il 15 luglio del 1930 in cui tua mamma Elsa ti mise al mondo in via Imbriani al nummor darsètt sott al mur ‘dla Nonziäda. Con la tua inimitabile parlantina tu stesso, nel 2011, per il mio filmato Parma mia, mi descrivesti quel giorno: “I m’àn portè fóra in bras e mi s’éra séz chilo e méz. Mo co’ l’à fat chilé, un bò? no a l’à fat un ragas… Inveci a són nasù mi, che adésa són ancorra chì e són ancorra chì per sincuant’ani”. Son passati nove anni, Alberto, e secondo quel vaticinio dovresti vivere an-cora 41 anni e forse non sarà così. Però sono felice e siamo tutti felici, di poterti fare gli auguri per il tuo compleanno. E che compleanno!........
domenica 14 giugno 2020
1984 All'Olimpiade di Los Angeles
Quando, da ragazzo, mi misi in testa di diventare giornalista, mi posi degli obiettivi, o meglio, dei sogni: partecipare come inviato almeno a un Festival di Sanremo, a un’Olimpiade, a un mondiale di pugilato, uno sport che amavo molto, a un Giro d’Italia e intervistare qualche personaggio famoso. A parte il Giro, del quale mi dovetti accontentare di qualche spicciolo, tipo l’arrivo all’Arena di Verona dell’ultima tappa (la crono individuale) del 1981, con il trionfo di Giovanni Battaglin, gli altri obiettivi li ho centrati tutti. Ho assistito al mondiale dei superwelter Wba tra Luigi Minchillo e Mike McCallum al PalaLido di Milano il 1° dicembre 1984, ho fatto una scorpacciata di interviste importanti (da Enzo Bearzot a Carlo Bergonzi, da Alberto Bevilacqua a Nicolò Carosio, da Bernard Hinault a Gorni Kramer, da Maria di Savoia a Gustav Thoeni, eccetera), ho seguito a Sanremo tre Festival della canzone italiana (1973, 1974 e 1975) e ho seguito a Los Angeles i Giochi della XXIII Olimpiade, dal 28 luglio al 13 agosto 1984. E fu proprio la partecipazione a quell’Olimpiade, alla quale parteciparono 6929 atleti di 140 Paesi, a procurarmi le emozioni tra le più forti della mia carriera. In particolare mi è rimasta nel cuore la sfarzosissima cerimonia d’apertura, al Los Angeles Memorial Coliseum, dove si era già tenuta quella dei Giochi del 1932. Io avevo la mia postazione, nel settore T3-T4 riservato alla stampa, nel posto 20 della fila 36. In quel caldo pomeriggio ero fuori di me dall’emozione, oltretutto, voltandomi indietro, potevo vedere dietro una vetrata blindata, il presidente dehgli Stati Uniti, Ronald Reagan… Il ragazzino che a 18 anni e mezzo, nel 1963, si era offerto come collaboratore sportivo alla Gazzetta di Parma di via Emilio Casa, adesso era l’inviato di un importante settimanale italiano, Gente, alle Olimpiadi! Il primo colpo di scena fu l'atterraggio a sorpresa, sul terreno del Coliseum, di Bill Sooter, un tecnico della Nasa, munito della stessa apparecchiatura che consentiva agli astronauti di passeggiare nello spazio. A questo colpo di scena fece seguito uno straordinaio spettacolo che ricostruì la storia degli Stati Uniti. Quella notte, nella mia stanza dell’hotel Figueroa, feci un po’ fatica ad addormentarmi, tanta era stata l’emozione.
sabato 13 giugno 2020
La mia Parma in déshabillé
Nel 1971 scrissi il mio sesto e penultimo articolo su Parma Bell'Arma, la strenna natalizia dei parmigiani, il primo da quando ormai ero esule volontario alla Mondadori di Milano. Scelsi per questo di fare un ritratto di quella che era stata la mia Parma nel periodo in cui, dal 1966 al 1969, ero cronista di "nera" alla Gazzetta di Parma. Una città vista nella sua intimità, nei verbali dei carabinieri, nei referti d'ospedale, nei riti della notte, con risotti alla quaglia alle due. Una città disadorna dei suoi orpelli di vanità, del suo proverbiale desiderio, retaggio dei tempi del Ducato, di apparire sempre bella, ducale e fascinosa. Una città vera che amavo profondamente soprattutto quando potevo apprezzarla mentre dormiva, passeggiando da solo per i vicoli, di notte, al ritorno magari da un servizio per uno spaventoso incidente notturno in autostrada. Una "Parma in déshabillé".
giovedì 11 giugno 2020
1990 La "mano morta" a Cossiga
martedì 9 giugno 2020
1983 Misi alle corde Ambrogio Fogar
Sapevo di averlo messo in dificoltà e gli ricordai alcune sue "marachelle" precedenti. Per esempio nel suo libro 400 giorni intorno al mondo, che descriveva la circumnavigazione del globo a bordo del Surprise, aveva alcune pagine dal libro Trekka intorno al mondo di John Cuzzwell. E gli ricordai anche le polemiche sorte, quattro anni prima, quando fu coinvolto nella tragica avventura in cui perse la vita il giornalista toscano Mauro Mancini. Ma anche qui, neanche un plissé: "Per il libro il tribunale mi assolse, e per la morte di Mauro il tribunale accertò che io non avevo alcuna responsabilità". Quella conferenza stampa finì così, con sguardi reciproci di ghiaccio. Ma la fama di Fogar era rimasta inossidabile. Ambrogio era nel cuore della gente. Un po' meno degli sponsor, il Maglificio Calzificio Torinese (che deteneva i marchi Robe di Kappa e Jesus Jeans che per l'impresa di Fogar aveva firmato un contratto. Parlai con Massimo Garbaccio, allora addetto stampa della società che aveva sponsorizzato Fogar. "Sottoscrivemmo il contratto", mi disse "nel quale si stabiliva che Fogar avrebbe conquistato il Polo Nord senza usare ausili meccanici. Ora l'utilizzazione dell'aereo dimostrerebbe che non è stato rispettato. A noi interessava soltanto che l'impresa sportiva andasse in porto. Accerteremo la verità. Se verrà confermato quello che crediamo di sapere, prenderemo provvedimenti". Ma il "popolo" era per Fogar e l'"aerostoppista" fece un figurone da Tortora, a Portobello. Nove anni dopo, il 12 settembre 1992, Fogar fu vittima di un gravissimo incidente in Turkmenistan, durante una tappa del raid Pechino - Parigi e rimase quasi completamente paralizzato. Ma nel 1997, su una sedia a rotelle basculante, partecipò al Giro d'Italia in barca a vela. Morì il 24 agosto 2005 per infarto e le sue ceneri furono tumulate nella cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.
lunedì 8 giugno 2020
1972 Parma alfabetica
la strenna natalizia inventata da Giorgio Gandolfi e diretta da Aldo Curti celebrava la sua decima e ultima liturgia e io non potevo mancare. Così scrissi un articolo pieno di nostalgia della mia città, ricordando episodi, vie e personaggi. Usai un giochetto vecchio comne il cucco, abbinando ogni argomento a una lettera dell'alfabeto, per cui il titolo divenne facilissimo e scontato: "Parma alfabetica". Ricordai tra l'altro uno storico scherzo fatto al "conoscitore atmosferico" Amelio Zambrelli, ma anche il borgo dove ero cresciuto, Via Venti Marzo, e la Navetta, dove una volta si appartavano i morosi, un famoso negozio di calzature di via Farini...
L'articolo fu illustrato da una composizione di lettere creata dal mio amico grafico di Bolero Teletutto, Bruno Quattro. Quel pezzo, scritto con il cuore, fu il mio addio a questa storica "strenna" natalizia che per dieci anni era stata il "compito in classe" delle firme del giornalismo parmigiano, sia di quelle che erano rimaste a Parma sia di quelle che erano "volate" a Milano o a Roma. Parma bell'arma purtroppo non ha avuto eredi, nonostante il grande successo, e forse è meglio così, perché è rimasta una rivista unica, inimitabile e tutte le "firme" che l'hanno tenuta in vita per dieci anni ne sono stati, a ragione, sempre fieri.
domenica 7 giugno 2020
1983 Pasqua a Tokyo con i Giannini
Fummo alloggiati, a spese di Nippon Tv, in un albergo 5 stelle di 40 piani, l'Akasaka Prince Hotel Tower, disegnato dal grande architetto giapponese Kenzo Tange, dove una singola costava 45mila yen, 270mila lire, al giorno... Vedemmo un sacco di cose, Kaminarimom (La Porta del Tuono), Sensoy, il Grande Tempio Kannon, il Tempio Denpo-in. Il 7 aprile fu il giorno della trasmissione negli studi di Nippon Tv. Prove alla mattina, diretta dalle 19 alle 21. L'indomani i Giannini erano popolarissimi. Ci fermavano per strada e si inchinavano (il loro tradizionale saluto japan). Oliviero ed io, il penultimo giorno di permanenza a Tokyo, ci concedemmo un piccolo spazio di libertà, andammo a trovare un fotografo amico di Bruno, il suo corrispondente da Tokyo, e facemmo un po' di shopping. Nel pomeriggio invece tutto il nostro gruppo fu ospite dell'ambasciatore italiano Boris Biancheri nella lussuosissima e storica sede dell'Ambasciata italiana a Tokyo. Il giorno dopo fu quello della partenza, con una sorpresa: eravamo già in pullman quando Oliviero fu richiamato da un responsabile dell'albergo: aveva lasciato in sospeso una cifra assurda di telefonate. Mentre io mi ero limitato a brevissimi saluti a casa, un paio di volte, lui si era dilungato in lunghe e quotidiane chiacchierate amorose con la sua donna. Figuraccia. Tutto il clan Giannini era ospite, è vero, ma per la precisione japan non erano previste le telefonate sentimentali di chicchessia...
1983 A Tokyo, a due passi da Hiroito
L'imperatore Hirohito con Hosny Mubarak e signora |
sabato 6 giugno 2020
1968 Quella piena del Po
Trascorsi una giornata intera, dalla mattina del 4 a quella del 5, sulla barca dei carabinieri di Zibello, al comando del brigadiere Gelsomino, per raccogliere notizie e assistere ai salvataggi delle persone. Ed è rimasta indelebile nella mia memoria e nel mio cuore quella notte in barca, a controllare casa per casa nei terreni golenali invasi dall'acqua. Erano luoghi che conoscevo bene perché, per esempio, al Cavallino Lido dei coniugi Spigaroli ( i genitori dello chef stellato Massimo Spigaroli) andavo spesso, per sontuose "abbuffate" con i colleghi della Gazzetta ma anche per intervistare i cantanti che andavano lì per i loro concerti, per esempio Caterina Caselli e Patty Pravo. Vedere quella desolazione era come ricevere un pugno nello stomaco. La situazione era drammatica, assolutamente allarmante e alcuni degli abitanti della zona sostennero che quell'alluvione era inferiore soltanto a quella devastante del Polesine nel '51. Fortunatamente il bilancio finale fu senza vittime e con danni ingenti, ma minori.
giovedì 4 giugno 2020
1968 Malmenato dai "pacifisti"
Ah, il Sessantotto... Anno indimenticabile di tribolazioni, contestazioni, università occupate. Io avevo 23 anni ed ero un cronista "d'assalto" della Gazzetta di Parma. Così ero sempre in prima linea quando avvenivano proteste al Teatro Regio, all'Università o quando i contestatori "tiravano le pietre" alle finestre del giornale, allora in via Emilio Casa. Così fu normale che la sera del 15 settembre venissi mandato io allo storico Cinema Verdi, in via Paciaudi, per documentare quello che stava succedendo. Era in programmazione il film Berretti verdi sulla guerra in Vietnam, diretto e interpretato da John Wayne. Film che creò, anche a Parma, malumori tra tutti coloro che contestavano le azioni belliche statunitensi anti - vietcong. Infatti l'ingresso del cinema fu bloccato da un "picchetto" di contestatori che urlavano contro gli Stati Uniti e il presidente Johnson. Io dovevo fare il mio lavoro e penso che mi sarei limitato a prendere appunti e magari scattare una foto da lontano. Ma non ci vidi più quando i contestatori cominciarono a inveire anche contro la Gazzetta.
Purtroppo tra loro c'era anche un nostro collaboratore, il "vice" delle critiche cinematografiche. Che inveissero gli altri poteva essere considerato normale, ma lui... Così mi venne spontaneo scattare una foto con la Rollei d'ordinanza per documentare i loro gesti minacciosi. Ne nacque un putiferio. I "pacifisti" mi circondarono, cercarono di strapparmi la macchina fotografica, provarono a malmenarmi (con parziale insuccesso) e vennero fermati dai poliziotti, che così mi "salvarono". Fui accompagnato (non però in stato di fermo) in Questura, dove spiegai i particolari dell'accaduto. Poco più tardi arrivò il mio collega Enea Arlunno che mi riaccompagnò al giornale, dove scrissi il pezzo. Il capocronista di allora, Aldo Curti, era anche corrispondente dell'Ansa, l'agenzia nazionale, e dettò l'articolo che fu poi ripreso da alcuni quotidiani, il Giornale di Brescia, il Carlino Sera, la Nazione Sera, la Prealpina di Varese e il Piccolo di Trieste, che addirittura dedicò al fatto un titolo a due colonne. Non mi sono mai pentito della foto che avevo scattato: era il mio gesto di protesta non nei confronti del gruppetto di "pacifisti", ma specificamente rivolto al collaboratore della Gazzetta che aveva inveito contro il "mio" giornale.
mercoledì 3 giugno 2020
2004 Al telefono con Roberto Gervaso
Roberto Gervaso |
lunedì 25 maggio 2020
1984 In Messico per l'ora di Moser
Il gennaio 1984 fu all'insegna di Francesco Moser e l'Also Enervit del dottor Sorbini che patrocinava e assistiva il suo tentativo di battere il record dell'ora, invitò in Messico i giornalisti delle più importanti testate italiane per dare il maggior risalto possibile all'impresa. Io andai per Gente e partii giovedì 19 dalla Malpensa. Con un volo Lufthansa arrivai ad Amsterdam e da lì proseguii il viaggio su un altro volo Lufthansa diretto a Città del Messico. Quando arrivai al mio albergo, il Chapultepec, scoprii che Moser aveva già battuto il record di Eddie Merckx e, superando la barriera dei 50 orari, l'aveva portato a 50,808. Mi fu spiegato però che il record non era stato programmato per quel giorno.
Non mancarono i momenti di svago. Per esempio una sera a cena con Gianpaolo Ormezzano, che, in un ristorante argentino, mi magnificò la bellezza della sua compagna, facendomi vedere con orgoglio una sua foto. E, domenica 23, feci una visita allo straordinario Museo Nazionale di Antropologia, dove acquistai un sarape (l'abbigliamento tradizionale maschile) per il mio piccolo secondogenito, Steve. Nel parco intorno al Museo vidi anche i mariachi, i tradizionali suonatori messicani. L'indomani fu il giorno della grande impresa.
Lo scoprii qualche mese dopo, quando il 19 maggio, alla clinica San Camillo di Trento, diede alla luce il secondogenito, Carlo. E Francesco, al quale regalai una copia del mio libro sulla sua impresa, in cambiò regalò a Gente, in esclusiva, la prima foto del piccolo Carlo tra le sue braccia, scattata dall'indimenticabile Norberto Zini, lo stesso che, quattro anni prima, al mio fianco aveva scattato le prime foto ai sei gemelli Giannini.
sabato 23 maggio 2020
1978 La telecronaca finita con una bugia
1978 Rischiai la vita nel lago di Bañolas
Per il servizio in Catalogna partii con la piccola troupe al seguito (Giambattista Reduzzi e un altro operatore del quale purtroppo non ricordo il nome) e con un volo Alitalia arrivammo a Barcellona. Qui eravamo attesi dagli organizzatori dell'evento motonautico e fummo accompagnati a Bañolas. Quella sera mangiammo all'aperto in un ottimo ristorantino e qui avvenne il mio primo incontro ravvicinato con la paella (ma anche con la sangria). La notte dormimmo in tre stanzette, piccole e molto spartane, dell'antico monastero di Sant Esteve. Mai avrei immaginato di trascorrere una notte da... monaco. Il giorno dopo ci accompagnarono al lago, dove si sarebbe disputata la gara. Ci lasciarono in punto in riva al lago dove sarebbe arrivato uno del club motonautico organizzatore per portarci in motoscafo alla postazione a noi destinata. Cominciò la gara, alla quale partecipava il pluricampione mondiale Renato Molinari ma nessuno era ancora venuto a prenderci, eravamo nervosi.
Mentre Molinari era già in testa (poi vinse) arrivò trafelato quello che doveva essere il nostro "taxista" (si fa per dire), ci caricò in fretta e furia e ci "catapultò" verso la nostra postazione, viaggiando sul lago però, a tutta "manetta", in senso contrario alla gara. Prima di sdraiarmi sul motoscafo per non vedere il momento dell'impatto e della nostra fine, feci in tempo a vedere Molinari che si sbracciava rivolgendoci contro chissà quali e quanti epiteti. Ci andò bene, è vero, ma una cosa è certa: quel giorno rischiai (rischiammo) di morire e adesso non sarei qui a raccontare l'episodio. La giornata finì in modo lieto. La corriera che ci avrebbe riportato a Barcellona sarebbe partita troppo tardi, allora cercammo un taxi. Due taxisti si rifiutarono, a causa della distanza, il terzo accettò. Ma alla fine del viaggio, appunto di oltre 120 chilometri, ci disse: "Yo soy el taxista mas tonto de Bañolas". In serata, con una passeggiata nelle Ramblas, finì, la nostra giornata che aveva rischiato di essere l'ultima della nostra vita.
giovedì 21 maggio 2020
2005: A casa di Milva la Rossa
A parlare dell'Italia, dove è sempre stata meno amata che all'estero, del governo Berlusconi che a suo dire non la faceva lavorare, della figlia avuta da Maurizio Corgnati, del Festival di Sanremo, dei talenti emergenti della canzone italiana e via e via. Una bella e corposa intervista che finì con una nota triste: "Il mio amore con il professor Roberto Bertozzi, che dura da sette anni, sembra finito. Lui non ha più telefonato". Ma con un'appendice a sorpresa. Milva mi chiamò in redazione due giorni dopo, fortunatamente prima che l'articolo venisse pubblicato. "Sa, a proposito del professore... Non so come dirlo", mi spiegò "la situazione non è più come ho detto a casa mia. Roberto mi ha telefonato. Mi ha detto "Rivediamoci, ti prego". Ecco, vede com'è la vita? La situazione si è ribaltata nel giro di poche ore".
1980 Grazie ai Giannini smisi di fumare
Il 16 giugno 1980 smisi di fumare. Non è una data da entrare nei libri di storia, ma per me è importante perché è legata a un evento significativo della mia carriera. Il giorno prima infatti, domenica 15, mi trovavo a Soci, in provincia di Arezzo, per il battesimo dei sei gemelli Giannini: Linda, Giorgio, Francesco, Roberto, Fabrizio e Letizia, nati tra le 4,17 e le 4,24 dell'11 gennaio all'ospedale fiorentino di Careggi. Io ero il responsabile dell'esclusiva mondiale che avevo ottenuto per il mio settimanale, Gente, diretto dall'indimenticabile Antonio Terzi e il giorno prima, appunto, ero inquieto perché la Rusconi Editore aveva investito dei soldi per quell'esclusiva, ma tanti giornali, tante agenzie fotografiche, avrebbero fatto carte false pur di "strapparci" qualche scatto abusivo.
Fino a quel momento avevamo fatto servizi o all'ospedale o a casa di Rosanna e Franco Giannini, in via Michelangelo e quindi non avevamo corso rischi. Ma era previsto addirittura un corteo preceduto con la banda per accompagnare la "superfamiglia" da via Michelangelo alla chiesa di San Nicolò e quindi eravamo "scoperti". Conoscendo le tecniche e le strategie dei "paparazzi" temevo (e con me anche il nostro fotografo Norberto Zini) che qualcuno si appostasse o su un tetto o alla finestra di qualche abitante accondiscendente. Alle 16,30 arrivò la banda (anzi due perché si riunirono elementi di quella di Soci e di quella di Bibbiena) ed io ero agitatissimo. Allora fumavo ancora, anche se da tempo mi ero messo in mente di smettere.
Neanche io fossi la guardia del corpo del presidente degli Stati Uniti,
continuavo a guardare in alto, in basso, a destra, a sinistra, ogni movimento appena strano mi metteva in allarme. Zini faceva il suo lavoro e io... vigilavo, fumando una sigaretta dopo l'altra. In chiesa non potevo fumare, ma continuavo a controllare persona per persona. E all'uscita riprese la mia agitazione massima. Continuai a fumare fino quando con Norberto Zini non lasciammo Soci. Alla fine della giornata feci il conto: avevo fumato sessanta sigarette, tre pacchetti. Mediamente allora ne fumavo venti, un pacchetto. Avevo il voltastomaco. Il giorno dopo, 16 giugno, mi resi conto che quella era la volta buona. Quel giorno non avevo voglia di mettere una sigaretta in bocca, ovvio, ma avevo capito che era il giorno giusto per smettere definitivamente. Sensa se e senza ma. E così fu. Grazie ai gemelli Giannini.