giovedì 31 dicembre 2020

Pensiero stupendo: il 2021 sarà migliore


Il mio pensiero all'anno che verrà (ormai imminente) è in dialetto parmigiano. È il mio saluto acido al Venti Venti e il mio benvenuto, pieno di speranza, al Venti Ventuno. Auguri a tutti

martedì 29 dicembre 2020

Cinema e realtà: il film del momento

L’incredibile storia

dell’Isola delle rose

È uscito da pochi giorni su Netflix il film ispirato a una vicenda del 1968

che ha fatto storia, quando in acque extraterritoriali, ma a poche

miglia da Rimini, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, costruì una piattaforma che trasformò in  uno Stato indipendente - Film divertente,

con un cast che annovera tra gli altri Elio Germano, straordinario

protagonista, Fabrizio Bentivoglio e Luca Zingaretti -

Il film è  e divertente, anche se la realtà storica, come spesso capita in questi casi, è parzialmente deformata


di ACHILLE MEZZADRI

Nel primo periodo in cui lavoravo alla Rusconi, nel settimanale allora diretto da Mario Palumbo, ero al telefono con il grande Giorgio Torelli quando arrivò Mario, che era cresciuto a Parma nella Legione Carabinieri essendo figlio del comandante, e gli chiese: “Come si fa a essere un vero parmigiano?”. Torelli non fece una piega. “Semplice, caro Mario, bisogna essere immaginifici”. E certamente immaginifico, ma all’ennesima potenza, fu l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa (nato nel 1925 e scomparso nel 2017) che addirittura si inventò una piattaforma in acqua extraterritoriali, a 6,27 miglia nautiche da Rimini, che trasformò in Stato indipendente. Non era parmigiano, l’ingegner Rosa, ma sempre emiliano era. Sarà l’aria…

sabato 26 dicembre 2020

Una nuova rubrica: "Pensieri in libertà"


 Giù la maschera 

Il 2020, anno bisesto, è stato l’anno della pandemia e, quindi, delle mascherine protettive - Grazie ai vaccini ce ne liberemo, prima o poi, ma riusciremo a toglierci

la maschera, dietro la quale spesso ci nascondiamo nel tentativo di dare al prossimo un’immagine diversa di noi? 


Nel 2020 anno bisesto, siamo diventati esperti nostro malgrado di mascherine protettive. Sappiamo tutto delle differenze tra quelle chirugiche, le FFP1, FFP2, FFP3, siamo perfino caduti nelle tentazione di indossare quelle fashion come se dovessero servirci per una “prima” alla Scala. Ci hanno insegnato ad usare le mascherine e ci siamo abituati, anche se alcune ci fanno venire le orecchie a sventola. Alterniamo le chirurgiche alle altre, le monouso alle lavabili, sono entrate insomma nel nostro guardaroba, al pari dei calzini. Però, nonostante l’assuefazione, non vediamo l’ora di disfarcene. Tranquilli, accadrà. Grazie al vaccini nel 2021, per tutti o quasi arriverà il tempo in cui potremo dire addio a... 

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IL VIDEO "GIU LA MASCHERA"



martedì 15 dicembre 2020

Le interviste indimenticabili: Bruno Rossi

DA PARMA A PARMA, PASSANDO PER IL MONDO

Nell'aprile 2013 il grande giornalista parmigiano, già inviato della "Domenica del Corriere" e del "Corriere della sera", nonché già direttore della "Gazzetta di Parma", compì 80 anni e gli dedicai 15 pagine su Pramzanblog - Un articolo prezioso, perché Bruno mi parlò di tutto: della sua infanzia a Parma, della sua passione per il giornalismo, dei suoi primi passi alla "Gazzetta", di quando spiccò il volo per Milano, del trio Chierici-Rossi-Barigazzi che Aldo Curti chiamava amabilmente "i tri sjochètt", di quando fece l'orango per 40 minuti e di quando incontrò, per caso, Madre Teresa di Calcutta - Mi spiegò perfino l'origine dell"ambaradan"


Parma ha regalato al giornalismo nazionale, e non solo, decine e decine di "penne d'oro", giornalisti che hanno girato il mondo scrivendo pagine della storia contemporanea. Inviati, direttori, autori di libri che sono enttati in tutte le biblioteca. Non è questo il momento di ricordare tutti i nomi, che sono tanti, ma di ricordare una memorabile intervista che feci, nell'aprile 2013, per Pramzanblog, a Bruno Rossi, nativo di borgo del Naviglio. Da quel borgo, dopo il tradizionale e inevitabile tirocinio alle redazioni locali dell' Avvenire e del Resto del Carlino e poi alla Gazzetta di Parma, spiccò il volo per le grandi testate, così come i suoi compagni d'avventura alla cronaca della Gazzetta, Maurizio Chierici e Giuseppe Barigazzi, con i quali dall'indimenticabile Aldo Curti si vide affibbiare l'amabile appellativo di "i tri sjochètt". L'intervista del 2013 a Rossi è stata certamente una delle più belle che ho scritto e credo che sia buona cosa riproporla. Eccola.

LEGGETE L'INTERVISTA A BRUNO ROSSI

domenica 13 dicembre 2020

Torna "Bón Nadäl ala pramzàna"

IL NATALE È ALLE PORTE E
LA  CANZONCINA IN DIALETTO
SI È FATTA IL VESTITO NUOVO
Dopo 18.538 visualizzazioni in 9 anni (in due canali Youtube) l'ormai famoso brano scritto da Achille Mezzadri ed eseguito nel 2011 dalle Voci Bianche della Corale Verdi dirette da Beniamina Carretta, si ripresenta in versione "remastered",  ma senza perdere lo smalto e la sincerità di quella originale

di ACHILLE MEZZADRI

Bon Nadäl ala pramzàna, chi si rivede. Dal 2011 ogni anno, sotto Natale, torna online la canzoncina che, ai tempi fausti di Pramzanblog, scrissi  (testo e musica), sotto l'egida di Superblog pramzàn, una joint venture tutta parmigiana che inventai per riunire sotto un solo marchio tre siti che, almeno allora, erano uniti da un unico denominatore, la parmigianità: Pramzanblog, Parma in dialetto e Stadiotardini. Fu subito un successo, favorito anche da Tv Parma, allora diretta da Giuliano Molossi, che mandò in onda il video. Allora infatti ci eravamo fatti una domanda: c'è qualcosa che possiamo offrire ai nostri lettori? Una canzoncina. E così fu. Contattai Beniamina Carretta, la direttrice-anima delle Voci Bianche della Corale Verdi e le feci ascoltare la canzone. Le piacque subito e mi disse anche che avrebbe contattato il pianista maestro Roberto Barrali per l'arrangiamento e l'accompagnamento al piano. Contattai molti personaggi famosi di Parma, da Vittorio Adorni ad Alberto Michelotti, da Francesca Strozzi a Monica Bertini, da Paola Sanguinetti a Tonino Fereoli, da Edda Ollari al Dsèvod (Maurizio Trapelli), da Carlo Chiesa a Daniele Villani, da Paolo Zoppi a Luciano Armani, da Luigi Furlotti a Aldo Musci,  comprendendo ovviamente i miei "soci" della joint venture, Gabriele Majo e Enrico Maletti. Tutti entusiasti. E la location? Contattai Andrea Rinaldi, allora presidente della Corale Verdi: affare fatto. Avremmo registrato nella Sala Gandolfi della Corale. Bastava scegliere da data e l'orario. Una giornata magica. Arrivarono tutti puntuali, entusiasti di partecipare. Tra gli invitati c'era anche chi, pur aderendo all'iniziativa, non se la sentiva di cantare da "protagonista": Mauro Biondini, Alberta Brianti, Robi Bonardi,  Paolo Bucci, Giancarlo Ceci, Claudia Corbani, la marchesa Zaira Dalla Rosa Prati, Armando Gabba, Corrado Marvasi, Maria Francesca Piedimonte, Lorenzo Sartorio. Accontentati. Anche se Gabba, per la verità, l'avrei voluto tra i "protagonisti". Consegnai a tutti il testo. Facemmo brevi prove e cominciò la registrazione. Le riprese furono fatte da mio figlio Steve (suo anche il montaggio) e dal figlio di Enrico Maletti, Pietro (sue anche le sigle). Fortunatamente tutto filò liscio. Da quel momento Bón Nadäl ala pramzana divenne una piccola icona della canzone dialettale parmigiana. Dopo 9 anni ho sentito il bisogno di dare una spolveratina alla mia creatura del 2011 e così ho deciso (il Superblog pramzàn non c'è più) di metterle addosso un vestito nuovo: una versione, come dicono gli esperti, remastered, rimasterizzata. Con l'inserimento di immagini di Parma invernale e di alcuni dettagli, ma non senza una chiosa finale. Spero che piaccia anche questa versione. Comunque, per i nostalgici di quella originale, allego anche quella. (a.m.)


sabato 12 dicembre 2020

La diretta di "Believe in Christmas"


BOCELLI NELLA MAGIA DEL REGIO

Sontuoso ed emozionante spettacolo che il tenore ha regalato al mondo, affiancato dalla figlia Virginia di 8 anni - Musiche di ambientazione natalizia, con la partecipazione di grandi star, come il mezzosoprano Cecilia Bartoli, Zucchero, il soprano Clara Barbier Serrano e la violinista Anastasiya Petrishak - Orchestra del Teatro del Silenzio, condotta da Steven Mercurio

di ACHILLE MEZZADRI

Ventidue euro spesi bene. Assistere a uno straordinario concerto in diretta dal Teatro Regio di Parma con Andrea Bocelli Cecilia Bartoli, Zucchero, il soprano Clara Barbier Serrano e la violinista Anastasiya Petrishak per 22 euro non capita tutti i giorni. Spettacolo sontuoso ed emozionante questo Believe in Christmas, di grande valore artistico. Un Regio privo di pubblico, ma riempito dal calore della voce di Bocelli e degli altri cantanti, dalle straordinarie coreografie di Tiziana Pagliarulo, dall'Orchestra del Teatro del Silenzio, condotta da Steven Mercurio, dal Coro del Teatro Regio diretto magistralmente come solito dal maestro Martino Faggiani. Veniva voglia di mettersi in smoking, seppur seduti davanti allo schermo del computer. Bocelli ha emozionato con brani celebri come...

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venerdì 11 dicembre 2020

Gazzetta di Parma, il primo amore

DA UNA SCATOLA SPUNTARONO

I NUMERI INTERNI DELLA “GAZZA”

Basta niente per farsi prendere dalla nostalgia: è sufficiente aprire una scatola e trovarvi un cartoncino con stampati i numeri interni del giornale dove è cominciata la tua carriera -  Molti nomi, purtroppo la maggioranza, sono di colleghi, anzi di amici, che non ci sono più - Schiaretti 33, Molossi 20, Bellè 44… - Rivedere quei numeri è come rivivere quei tempi lontani, quando alla “mia” Gazzetta si viveva ancora l’epopea dell’”uno per tutti, tutti per uno” e ci si ritrovava con le famiglie anche in discoteca o per una gita…


di ACHILLE MEZZADRI


Nostalgia canaglia cantavano Al Bano e Romina e mai termine è più appropriato per spiegare che cosa ho provato quando da una scatola è spuntato fuori un cartoncino, lievemente ingiallito, con stampati i numeri interni della Gazzetta di Parma, inizio anni ’70, comunque prima del maggio ’71, quando mi trasferii a Milano alla Mondadori. Quei nomi, quei numeri… Direttore (Molossi) 20, Pedretti, Schiaretti e Salati 33, Tonarelli 36, Bellè 44, Guerrino Cavalli 26, Corti 34… Un cimitero. La maggioranza non c’è più e i sopravvissuti? Siamo in pochi. Eppure mi sembra così, strano, così impossibile. Torno col pensiero a quel periodo e mi pare di essere ancora con loro, lì, in via Emilio Casa, ben prima del trasferimento nella  uiova sede di via Mantova. Mi torna in mente, allora, Antologia di Spoon River, la celebre raccolta di poesie del poeta americano Edgar Lee Masters, dove l’autore riporta alla vita, con le loro storie, gli abitanti defunti di un paesino immaginario. Baldassarre Molossi (interno 20, ma risponde il segretario Bruno Castelli) è sempre  lì, nella sua stanza con le finestre che guardano in via Casa, con il busto di Giovannino Guareschi a fargli compagnia. E Aldo Curti (interno 25)... 

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giovedì 10 dicembre 2020

Anche "Pablito" ci ha lasciati

 La scomparsa di Paolo Rossi 

QUELLA BUGIA QUANDO

SI SPOSÒ CON SIMONETTA

Nel numero 37 del 1981 di Gente il grande Pablito (soprannominato così dal Mundial in Argentina del 1978), che ancora non aveva finito di scontare la lunga squalifica inflittagli dalla giustizia sportiva per il calcioscandalo, firmò il diario delle sue nozze a Vicenza con Simonetta Rizzato, la sua prima  moglie - Ora posso svelare il retroscena di quello “scoop” - Conoscevo Rossi da due anni, dal tempo del clamoroso processo sportivo 



di ACHILLE MEZZADRI

Dopo Maradona, anche Pablito. Le stelle si accendono e si spengono e l’universo le sostituisce con altre. Ma restano nei cuori di chi, con quelle stelle, ha gioito e pianto. E sognato. Paolo Rossi, da poche ore stroncato a 64 anni da un male inesorabile, non aveva ancora compiuto 22 anni quando, dal 1° al 25 giugno del ’78, indossò la maglia azzurra al mondiale in Argentina e con i suoi tre gol contribuì al lusinghiero quarto posto del l’Italia. E il giornalista Giorgio Lago coniò per lui il soprannome di Pablito. Fu infatti in quel mondiale che si accese la stella di Pablito, quel ragazzo di Prato che si era fatto le ossa nelle giovanili della Juventus, ma che aveva cominciato a farsi conoscere, due anni prima, con la maglia del Lanerossi Vicenza. Nei giorni di quel Mundial in Argentina gli italiani si innamorarono di Pablito e rimasero increduli, nell’80, quando quel ragazzo che li aveva abbagliati con i suoi gol, fu coinvolto nel vergognoso  calcioscandalo. Lui si dichiarò sempre innocente, ma la giustizia sportiva non fu del suo avviso e gli comminò una lunga squalifica. La stella di Pablito sembrava ormai spenta, invece si riaccese nel 1982, quando il mai dimenticato Enzo Berarzot, che  l’aveva lanciato nel Mundial argentino, a squalifica scontata lo rivolle in azzurro. E fu trionfo. Sei gol (con una memorabile tripletta al Brasile) titolo di capocannoniere del torneo e, soprattutto, grande protagonista del mondiale vinto. Fu in quegli anni che mi occupai più volte di Rossi. A quel tempo.... 

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giovedì 5 novembre 2020

Quei ragazzi dell'e-commerce


Proprio così: un giornalista continua la sua professione anche dopo la pensione. Chiamiamola come si vuole: una malattia, una piacevole consuetudine, un tic. Io preferirei chiamarla "una necessità". La necessità di raccontare la vita e i suoi protagonisti, grandi e piccoli. Per questo mi sono interessato e mi interesso alla storia di Federica e Filippo, due ragazzi di trent'anni cresciuti a Milano ma di origine messinese. Due ragazzi che si sono tuffati, e subito con successo, in un'avventura imprenditoriale, con i tempi che corrono. Due ragazzi che non si sono messi a imprecare ai tempi grami, alla sfortuna, ma che i sono rimboccati le maniche e hanno scelto l'e-commerce, il commercio online, per far conoscere a tutta l'Italia i prodotti della loro terra d'origine, con "Appa Messina". Due volte meritevoli, per il coraggio e per l'infinito amore per la Sicilia. Per questo ho voluto dedicare a loro e alla loro passione un breve video, che ho intitolato "Quei ragazzi dell'e-commerce".


mercoledì 15 luglio 2020

Il compleanno di Alberto Michelotti

I 90 anni di un “genio” di Parma

BUON COMPLEANNO BARACÓN!

Il mio amico Alberto Michelotti, grande ed arbitro internazionale di calcio, grande icona della parmigianità e grande Don Carlo del club dei 27, nella sua vita è sempre stato un “pezzo da 90” ma oggi l’appellativo gli si addice in pieno Tutta Parma e tutto il mondo dello sport sono sempre stati fieri, e lo saranno sempre, di quest’uomo dell’Oltretorrente, (da giovane soprannominat Baracón), che con la sua energia, la sua simpatia e il suo altruismo continua a lasciare il segno e va controcorrente in una società che non merita più uomini come lui

di ACHILLE MEZZADRI

Quanto tempo è passato Baracón! Sì, da quel giorno, il 15 luglio del 1930 in cui tua mamma Elsa ti mise al mondo in via Imbriani al nummor darsètt sott al mur ‘dla Nonziäda. Con la tua inimitabile parlantina tu stesso, nel 2011, per il mio filmato Parma mia, mi descrivesti quel giorno: “I m’àn portè fóra in bras e mi s’éra séz chilo e méz. Mo co’ l’à fat chilé, un bò? no a l’à fat un ragas… Inveci a són nasù mi, che adésa són ancorra chì e són ancorra chì per sincuant’ani”. Son passati nove anni, Alberto, e secondo quel vaticinio dovresti vivere  an-cora 41 anni e forse non sarà così. Però sono felice e siamo tutti felici, di poterti fare gli auguri per il tuo compleanno. E che compleanno!........

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domenica 14 giugno 2020

1984 All'Olimpiade di Los Angeles

Quando, da ragazzo, mi misi in testa di diventare giornalista, mi posi degli obiettivi, o meglio, dei sogni: partecipare come inviato almeno a un Festival di Sanremo, a un’Olimpiade, a un mondiale di pugilato, uno sport che amavo molto, a un Giro d’Italia e intervistare qualche personaggio famoso. A parte il Giro, del quale mi dovetti accontentare di qualche spicciolo, tipo l’arrivo all’Arena di Verona  dell’ultima tappa (la crono individuale) del 1981, con il trionfo di Giovanni Battaglin, gli altri obiettivi li ho centrati tutti. Ho assistito al mondiale dei superwelter Wba tra Luigi Minchillo e Mike McCallum al PalaLido di Milano il 1° dicembre 1984, ho fatto una scorpacciata di interviste importanti (da Enzo Bearzot a Carlo Bergonzi, da Alberto Bevilacqua a Nicolò Carosio, da Bernard Hinault a Gorni Kramer, da Maria di Savoia  a Gustav Thoeni, eccetera), ho seguito a Sanremo tre Festival della canzone italiana (1973, 1974 e 1975) e ho seguito a Los Angeles i Giochi della XXIII Olimpiade, dal 28 luglio al 13 agosto 1984. E fu proprio la partecipazione a quell’Olimpiade, alla quale parteciparono  6929 atleti di 140 Paesi, a procurarmi le emozioni 
tra le più forti della mia carriera. In particolare mi è rimasta nel cuore la sfarzosissima cerimonia d’apertura, al Los Angeles Memorial Coliseum, dove si era già tenuta quella dei Giochi del 1932. Io avevo la mia postazione, nel settore T3-T4 riservato alla stampa, nel posto 20 della fila 36. In quel caldo pomeriggio ero fuori di me dall’emozione, oltretutto, voltandomi indietro, potevo vedere dietro una vetrata blindata, il presidente dehgli Stati Uniti, Ronald Reagan… Il ragazzino che a 18 anni e mezzo, nel 1963, si era offerto come collaboratore sportivo alla Gazzetta di Parma di via Emilio Casa, adesso era l’inviato di un importante settimanale italiano, Gente, alle Olimpiadi! Il primo colpo di scena fu l'atterraggio a sorpresa, sul terreno del Coliseum, di Bill Sooter, un tecnico della Nasa, munito della stessa apparecchiatura che consentiva agli astronauti di passeggiare nello spazio. A questo colpo di scena fece seguito uno straordinaio spettacolo che ricostruì la storia degli Stati Uniti. Quella notte, nella mia stanza dell’hotel Figueroa, feci un po’ fatica ad addormentarmi, tanta era stata l’emozione.
Quella 
fu un’Olimpiade fruttuosa per la squadra azzurra (14 ori, 6 argenti e 12 bronzi), ed io ebbi molto da fare (interviste a Edith Gufler, argento nel tiro con la carabina, Alberto Cova, trionfatore nei 10mila metri, Norberto Oberburger, oro nel sollevamento pesi, Mauro Numa, oro nel fioretto individuale e a squadre, Vincenzo Maenza, oro nella lotta greco-romana e Daniele Masala, oro individuale e a squadre nel pentathlon moderno) mentre l'altra inviata di Gente, Carla Pilolli, scriveva articoli di "colore". Furono due settimane intense, di grande lavoro e trasferimenti da una location dei Giochi all'altra (per esempio andai anche a Palo Alto, a una cinquantina di chilometri da San Francisco, per vedere Italia-Cile ai quarti di finale del calcio) ma anche con qualche parentesi di svago, come quando, io e un collega di un altro settimanale, ci ritagliammo un pomeriggio per andare a Disneyland, a una quarantina di chilometri da Los Angeles. Avevo l'invito per assistere anche alla cerimonia di chiusura dei Giochi, ma non ci andai, perché l'indomani all'alba sarei ripartito per l'Italia. Ero lontano dalla famiglia da tre settimane e non vedevo l'ora. Così la cerimonia me la vidi alla Tv del Figueroa.

sabato 13 giugno 2020

La mia Parma in déshabillé

Nel 1971 scrissi il mio sesto e penultimo articolo su Parma Bell'Arma, la strenna natalizia dei parmigiani, il primo da quando ormai ero esule volontario alla Mondadori di Milano. Scelsi per  questo di fare un ritratto di quella che era stata la mia Parma nel periodo in cui, dal 1966 al 1969, ero cronista di "nera" alla Gazzetta di Parma. Una città vista nella sua intimità, nei verbali dei carabinieri, nei referti d'ospedale, nei riti della notte, con risotti alla quaglia alle due. Una città disadorna dei suoi orpelli di vanità, del suo proverbiale desiderio, retaggio dei tempi del Ducato, di apparire sempre bella, ducale e fascinosa. Una città vera che amavo profondamente soprattutto quando potevo apprezzarla mentre dormiva, passeggiando da solo per i vicoli, di notte, al ritorno magari da un servizio per uno spaventoso incidente notturno in autostrada. Una "Parma in déshabillé".

giovedì 11 giugno 2020

1990 La "mano morta" a Cossiga

Nel 1990 la Rusconi Editore cambiò sede e passò da via Vitruvio a viale Sarca, in un bellissimo moderno grattacielo con eliporto sulla sommità (dove adesso c'è la sede della Philips). A maggio arrivarono le prime redazioni, noi di Gente a novembre. Poco dopo ci fu l'inaugurazione ufficiale, con la presenza del presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che atterrò sul grattacielo proprio con l'elicottero presidenziale. Nella foto mi si vede tra Cossiga e l'allora direttore di Gente, Mayer, che gli consegna un omaggio. Ecco, devo ammettere che Cossiga non mi piaceva: non per il suo partito di appartenenza, ma per le sue caratteristiche di "picconatore" ed esternatore ad oltranza. Ne aveva sempre da dire, pubblicamente, per tutti e per ogni cosa. E se ne faceva vanto. Ma non mi piaceva anche per le sue  ammissioni di aver fatto parte di Gladio, un'organizzazione clandestina paramilitare, di ispirazione Cia, che divenne uno dei tanti misteri mai svelati pienamente, del nostro Stato. Così avvenne che, al momento del commiato, considerata la vicinanza, fui costretto a dagli la mano. Ma controvoglia. E la mia mano, invece di stringere la sua, rimase così fredda e flaccida al punto di avere la sembianza di una "mano morta".

martedì 9 giugno 2020

1983 Misi alle corde Ambrogio Fogar

Da vivo e non da morto, ovviamente: Ambrogio Fogar, assicuratore, velista, esploratore, conduttore televisivo, scomparso nel 2005, non mi era molto simpatico. Perché secondo me era più apparenza che sostanza. Perché per le sue imprese cercava gli sponsor, come il grande Reinhold Messner, ma, mentre lo scalatore altoatesino firmava poi imprese memorabili, lui si metteva spesso nei casini. A mio parere, e, ripeto, con tutto il rispetto e la cristiana pietà per un uomo che è vissuto su una sedia a rotelle per anni prima di morire d'infarto, era più un bravo assicuratore che un esploratore. Al massimo, questo lo concedo, era un buon velista. Ebbene, la sua fallimentare "Operazione Polo Nord" del 1983, quando portò al Polo il simpatico cagnetto Armaduk, mi fece molto arrabbiare. Così, al suo rientro, in occasione della conferenza stampa nella sede della Gazzetta dello sport ebbi il coraggio di contestarlo in pubblico, togliendo la scena agli altri giornalisti. Fu un vero attacco frontale e riuscii a metterlo alle corde, anche se lui mantenne l'aplomb, cercando di sminuire le mie accuse. In realtà gli contestai cose che erano già diventate pubbliche durante la sua "impresa". Soprattutto il fatto che il suo obiettivo di raggiungere il Polo Nord a piedi con la sola compagnia dell'husky Armaduk era fallito in quanto aveva compiuto 180 chilometri degli 800 previsti... a bordo di un piccolo aereo. Fogar non si scompose: confermò di essere salito su quell'aereo il 12 aprile, coprendo un percorso di 180 chilometri, ma io gli contestai che secondo i dati forniti dall'americano Lee Houtchins, che era in collegamento con lui via satellite, ci sarebbero stati dei lunghi silenzi "artificiali", dal 13 al 21 marzo, dal 23 al 29 marzo e dal 12 al 21 aprile. E che dal 23 al 29 marzo sarebbe riuscito a percorrere la bellezza di 220 chilometri, con una media impossibile di 37 chilometri al giorno. Qui la difesa di Fogar fu un po' fragile: "L'apparecchio satellitare può sbagliare. E comunque io avevo già ammesso, negli articoli che pubblicavo sul Corriere, che l'impresa sportiva era fallita. Ma aveva vinto l'impresa umana. Io ho dimostrato però di essere stato 50 giorni sul pack, resistendo a temperature di 40, 50 gradi sotto lo zero, resistendo alle raffiche del blizzard. Il mio dovere l'ho fatto".
Sapevo di averlo messo in dificoltà e gli ricordai alcune sue "marachelle" precedenti. Per esempio nel suo libro 400 giorni intorno al mondo, che descriveva la circumnavigazione del globo a bordo del Surprise, aveva alcune pagine dal libro Trekka intorno al mondo di John Cuzzwell. E gli ricordai anche le polemiche sorte, quattro anni prima, quando fu coinvolto nella tragica avventura in cui perse la vita il giornalista toscano Mauro Mancini. Ma anche qui, neanche un plissé: "Per il libro il tribunale mi assolse, e per la morte di Mauro il tribunale accertò che io non avevo alcuna responsabilità". Quella conferenza stampa finì così, con sguardi reciproci di ghiaccio. Ma la fama di Fogar era rimasta inossidabile. Ambrogio era nel cuore della gente. Un po' meno degli sponsor, il Maglificio Calzificio Torinese (che deteneva i marchi Robe di Kappa e Jesus Jeans che per l'impresa di Fogar aveva firmato un contratto. Parlai con Massimo Garbaccio, allora addetto stampa della società che aveva sponsorizzato Fogar. "Sottoscrivemmo il contratto", mi disse "nel quale si stabiliva che Fogar avrebbe conquistato il Polo Nord senza usare ausili meccanici. Ora l'utilizzazione dell'aereo dimostrerebbe che non è stato rispettato. A noi interessava soltanto che l'impresa sportiva andasse in porto. Accerteremo la verità. Se verrà confermato quello che crediamo di sapere, prenderemo provvedimenti". Ma il "popolo" era per Fogar e l'"aerostoppista" fece un figurone da Tortora, a Portobello. Nove anni dopo, il 12 settembre 1992, Fogar fu vittima di un gravissimo incidente in Turkmenistan, durante una tappa del raid Pechino - Parigi e rimase quasi completamente paralizzato. Ma nel 1997, su una sedia a rotelle basculante, partecipò al Giro d'Italia in barca a vela. Morì il 24 agosto 2005 per infarto e le sue ceneri furono tumulate nella cripta del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

lunedì 8 giugno 2020

1972 Parma alfabetica



Alla fine del 1972 ero già alla Mondadori da un anno e mezzo, ma Parma Bell'arma,
la strenna natalizia inventata da Giorgio Gandolfi e diretta da Aldo Curti celebrava la sua decima e ultima liturgia e io non potevo mancare. Così scrissi un articolo pieno di nostalgia della mia città, ricordando episodi, vie e personaggi. Usai un giochetto vecchio comne il cucco, abbinando ogni argomento a una lettera dell'alfabeto, per cui il titolo divenne facilissimo e scontato: "Parma alfabetica". Ricordai tra l'altro uno storico scherzo fatto al "conoscitore atmosferico" Amelio Zambrelli, ma anche il borgo dove ero cresciuto, Via Venti Marzo, e la Navetta, dove una volta si appartavano i morosi, un famoso negozio di calzature di via Farini...
L'articolo fu illustrato da una composizione di lettere creata dal mio amico grafico di Bolero Teletutto, Bruno Quattro. Quel pezzo, scritto con il cuore, fu il mio addio a questa storica "strenna" natalizia che per dieci anni era stata il "compito in classe" delle firme del giornalismo parmigiano, sia di quelle che erano rimaste a Parma sia di quelle che erano "volate" a Milano o a Roma. Parma bell'arma purtroppo non ha avuto eredi, nonostante il grande successo, e forse è meglio così, perché è rimasta una rivista unica, inimitabile e tutte le "firme" che l'hanno tenuta in vita per dieci anni ne sono stati, a ragione, sempre fieri.

domenica 7 giugno 2020

1983 Pasqua a Tokyo con i Giannini

La mia avventura di una settimana in Giappone, nel 1983, con i sei gemelli Giannini, meriterebbe di essere raccontata in un libro, ma... Già fatto: Rosanna, la mamma, ed io, abbiamo già dedicato 22 pagine a quel viaggio in Vivere con sei gemelli, pubblicato da Rusconi nel 1984. Verso la fine del 1982 arrivò ai Giannini e al mio giornale, che aveva l'esclusiva mondiale dei servizi su di loro, l'invito di Nippon Tv, del gruppo Yomiuri, per partecipare a un grande raduno di gemelli a Tokyo, programmato per l'aprile '83. Cominciò una serie di salamelecchi telefonici tra una responsabile di Nippon Tv e il sottoscritto per concordare un sacco di dettagli e, soprattutto, per organizzare l'arrivo di una troupe a Soci, il paese della famiglia Giannini, per un servizio di preparazione all'evento. Lo programmammo per gennaio. Ma io non potei partecipare perchè mia moglie era in attesa del nostro secondogenito, Steve, che nacque l'11 gennaio, incredibilmente lo stesso giorno in cui erano nati i gemelli. Poi arrivò il grande giorno: il 1° aprile, Venerdì Santo, la famiglia Giannini, i sei bambini (Letizia, Linda, Francesco, Roberto, Fabrizio e Giorgio), i genitori, (Rosanna e Franco) e i nonni (Vera e Brunero), arrivaronocon un pullman privato a Fiumicino, dove trovarono me e il fotografo Bruno Oliviero. Con un volo Air France raggiungemmo Parigi e alloggiamo al Meridién, poi l'indomani salimmo su un altro volo Air France diretto a Tokyo. Però facemmo scalo all'aeroporto Sheremetevo di Mosca. Due ore allucinanti. I bambini erano scatenati, in particolare Francesco. Andammo al bar a chiedere dell'acqua e io chiesi "vodà", ma ci venne data della vodka... E i bambini strillavano ancor di più. Arrivò un medico che pretendeva di visitare Francesco. Ma Rosanna gli fece capire, a gesti,  che non era necessario. Finalmente arrivò il momento dell'imbarco ed arrivammo a Tokyo, all'aeroporto di Narita, alle 9 del mattino di domenica 3 aprile, Pasqua.
Fummo alloggiati, a spese di Nippon Tv, in un albergo 5 stelle di 40 piani, l'Akasaka Prince Hotel Tower, disegnato dal grande architetto giapponese Kenzo Tange, dove una singola costava 45mila yen, 270mila lire, al giorno... Vedemmo un sacco di cose, Kaminarimom (La Porta del Tuono), Sensoy, il Grande Tempio Kannon, il Tempio Denpo-in. Il 7 aprile fu il giorno della trasmissione negli studi di Nippon Tv. Prove alla mattina, diretta dalle 19 alle 21. L'indomani i Giannini erano popolarissimi. Ci fermavano per strada e si inchinavano (il loro tradizionale saluto japan). Oliviero ed io, il penultimo giorno di permanenza a Tokyo, ci concedemmo un piccolo spazio di libertà, andammo a trovare un fotografo amico di Bruno, il suo corrispondente da Tokyo, e facemmo un po' di shopping. Nel pomeriggio invece tutto il nostro gruppo fu ospite dell'ambasciatore italiano Boris Biancheri nella lussuosissima e storica sede dell'Ambasciata italiana a Tokyo. Il giorno dopo fu quello della partenza, con una sorpresa: eravamo già in pullman quando Oliviero fu richiamato da un responsabile dell'albergo: aveva lasciato in sospeso una cifra assurda di telefonate. Mentre io mi ero limitato a brevissimi saluti a casa, un paio di volte, lui si era dilungato in lunghe e quotidiane  chiacchierate amorose con la sua donna. Figuraccia. Tutto il clan Giannini era ospite, è vero, ma per la precisione japan non erano previste le telefonate sentimentali di chicchessia...

1983 A Tokyo, a due passi da Hiroito

L'imperatore Hirohito con Hosny Mubarak e signora
Per me fu un'emozione indescrivibile trovarmi, per pochi istanti, a due passi dall'imperatore giapponese Hiroito, allora ottanduenne. Ciò avvenne la mattina del 6 aprile 1983, nell'immenso piazzale antistante l'ingresso del Palazzo Imperiale. Mi trovavo lì, assieme al fotografo Bruno Oliviero, con i sei gemelli Giannini, i loro genitori, Rosanna e Franco e i loro nonni, Vera e Brunero. Non sapevamo che quel giorno l'imperatore avrebbe incontrato il presidente egiziano Hosni Mubarak, arrivato nel Paese del Sol Levante su invito del premier Yasuhiro Nakasone. Oliviero stava scattando alcune foto ai bambini con mamma e papà quando i poliziotti ci invitarono con gentile fermezza a scostarci perché stava uscendo il corteo imperiale, quattro o cinque limousine nere. Guardai attentamente e fui certo di aver "catturato", seppur per pochi istanti, il volto di Hirohito. Ecco, in quell'attimo mi ero trovato a due passi da uno dei personaggi che avevano segnato la storia: Hirohito, l'uomo-leggenda che nel gennaio del 1946, per disposizione americana, aveva dichiarato, in un editto, primo imperatore nella storia del Giappone, di non essere divino e di non esserlo mai stato. Ecco, l'uomo che era stato alleato di Hitler e di Mussolini, che aveva assistito impassibile  all'attacco aereo di Pearl Harbour, che aveva apprezzato le gesta eroiche dei kamikaze, che aveva dovuto accusare anche il tremendo colpo dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, ecco, quell'uomo era davanti a me. Incredibile.

sabato 6 giugno 2020

1968 Quella piena del Po

Ricordo che nel novembre 1951, quando avevo sei anni e mezzo, rimasi molto colpito dall'alluvione del Polesine, quando le acque del Po devastarono gran parte della provincia di Rovigo e parte di quella veneziana, con un bilancio di un centinaio di vittime e 180mila senzatetto. Tutta l'Italia si mobilitò per aiutare le popolazioni colpite e anche la mia famiglia inviò indumenti e generi alimentari. Ebbene, 17 anni dopo, ancora a novembre, il Po si incattivì di nuovo, seppure in maniera molto meno disastrosa ed io fui "sul campo", come cronista della Gazzetta di Parma, per raccontare quello che stava accadendo a Polesine Parmense, Torricella, Ongina, Santa Franca, Sacca, Mezzano Rondani.
Trascorsi una giornata intera, dalla mattina del 4 a quella del 5, sulla  barca dei carabinieri di Zibello, al comando del brigadiere Gelsomino, per raccogliere notizie e assistere ai salvataggi delle persone. Ed è rimasta indelebile nella mia memoria e nel mio cuore quella notte in barca, a controllare casa per casa nei terreni golenali invasi dall'acqua. Erano luoghi che conoscevo bene perché, per esempio, al Cavallino Lido dei coniugi Spigaroli ( i genitori dello chef stellato Massimo Spigaroli) andavo spesso, per sontuose "abbuffate" con i colleghi della Gazzetta ma anche per intervistare i cantanti che andavano lì per i loro concerti, per esempio Caterina Caselli e Patty Pravo. Vedere quella desolazione era come ricevere un pugno nello stomaco. La situazione era drammatica, assolutamente allarmante e alcuni degli abitanti della zona sostennero che quell'alluvione era inferiore soltanto a quella devastante del Polesine nel '51. Fortunatamente il bilancio finale fu senza vittime e con danni ingenti, ma minori.

giovedì 4 giugno 2020

1968 Malmenato dai "pacifisti"



Ah, il Sessantotto... Anno indimenticabile di tribolazioni, contestazioni, università occupate. Io avevo 23 anni ed ero un cronista "d'assalto" della Gazzetta di Parma. Così ero sempre in prima linea quando avvenivano proteste al Teatro Regio, all'Università o quando i contestatori "tiravano le pietre" alle finestre  del giornale, allora in via Emilio Casa. Così fu normale che la sera del 15 settembre venissi mandato io allo storico Cinema Verdi, in via Paciaudi, per documentare quello che stava succedendo. Era in programmazione il film Berretti verdi sulla guerra in Vietnam, diretto e interpretato da John Wayne. Film che creò, anche a Parma, malumori tra tutti coloro che contestavano le azioni belliche statunitensi anti - vietcong. Infatti l'ingresso del cinema fu bloccato da un "picchetto" di contestatori che urlavano contro gli Stati Uniti e il presidente Johnson. Io dovevo fare il mio lavoro e penso che mi sarei limitato a prendere appunti e magari scattare una foto da lontano. Ma non ci vidi più quando i contestatori cominciarono a inveire anche contro la Gazzetta.
Purtroppo tra loro c'era anche un nostro collaboratore, il "vice" delle critiche cinematografiche. Che inveissero gli altri poteva essere considerato normale, ma lui... Così mi venne spontaneo scattare una foto con la Rollei d'ordinanza per documentare i loro gesti minacciosi. Ne nacque un putiferio. I "pacifisti" mi circondarono, cercarono di strapparmi la macchina fotografica, provarono a malmenarmi (con parziale insuccesso) e vennero fermati dai poliziotti, che così mi "salvarono". Fui accompagnato (non però in stato di fermo) in Questura, dove spiegai i particolari dell'accaduto.  Poco più tardi arrivò il mio collega Enea Arlunno che mi riaccompagnò al giornale, dove scrissi il pezzo. Il capocronista di allora, Aldo Curti, era anche corrispondente dell'Ansa, l'agenzia nazionale, e dettò l'articolo che fu poi ripreso da alcuni quotidiani, il Giornale di Brescia, il Carlino Sera, la Nazione Sera, la Prealpina di Varese e il Piccolo di Trieste, che addirittura dedicò al fatto un titolo a due colonne. Non mi sono mai pentito della foto che avevo scattato: era il mio gesto di protesta non nei confronti del gruppetto di "pacifisti", ma specificamente rivolto al collaboratore della Gazzetta che aveva inveito contro il "mio" giornale.

mercoledì 3 giugno 2020

2004 Al telefono con Roberto Gervaso

Roberto Gervaso
Anche Roberto Gervaso, una delle voci più stimolanti della cultura italiana, ci ha lasciato, il 2 giugno. Avrebbe compiuto 83 anni il 9 luglio. Non l’ho mai intervistato vis-a-vis e si sa che, secondo le regole antiche del buon giornalismo (che ora per molti purtroppo sono diventate obsolete) per scrivere un buon articolo bisogna andare sul posto, parlare con la gente, carpirne gli umori e la veridicità. Al telefono tutto diventa più asettico e con una credibilità a rischio. Tanto più un’intervista. Ma non sempre. Con Roberto Gervaso, per esempio, del quale ho letto svariati libri, compresi i capitoli della Storia d’Italia in coppia con Indro Montanelli, ho avuto un ”incontro telefonico” che mi ha soddisfatto appieno. Lo scrittore - giornalista nonché autore di indimenticabili aforismi, parlandomi di un suo  nuovo libro, mi raccontò un sacco di cose interessanti.

Per esempio la sua battaglia vinta contro un tumore alla prostata (“Nel 1997 Berlusconi”, mi disse “fu operato per lo stesso problema”), oppure la sua grande amicizia con lo stesso Berlusconi, che gli mise a disposizione i suoi aerei personali per consentirgli durante la convalescenza, di trascorrere i weekend a Roma. Oppure ancora il suo grande amore per i  cani e il dolore mai rimarginato per la scomparsa della sua cagnolina Vaniglia.

lunedì 25 maggio 2020

1984 In Messico per l'ora di Moser





















Il gennaio 1984 fu all'insegna di Francesco Moser e l'Also Enervit del dottor Sorbini che patrocinava  e assistiva il suo tentativo di battere il record dell'ora, invitò  in Messico i giornalisti delle più importanti testate italiane per dare il maggior risalto possibile all'impresa. Io andai per Gente e partii giovedì 19 dalla Malpensa. Con un volo Lufthansa arrivai ad Amsterdam e da lì proseguii il viaggio su un altro volo Lufthansa diretto a Città del Messico. Quando arrivai al mio albergo, il Chapultepec, scoprii che Moser aveva già battuto il record di Eddie Merckx e, superando la barriera dei 50 orari, l'aveva portato a 50,808. Mi fu spiegato però che il record non era stato programmato per quel giorno.

Doveva essere un test sui 20 chilometri, ma Francesco aveva proseguito. Il tentativo "ufficiale" restava programmato per lunedì 24 e dovevano arrivare ancora tanti giornalisti, nonchè personaggi come Alfredo Martini, Vittorio Adorni e perfino Enzo Bearzot, CT della nazionale di calcio. Presi il contatto con Corrado Corradini, fotografo dell'agenzia di Sandro Girella, che era già lì da due giorni e ci avrebbe dato il servizio, così mi immersi nell'atmosfera della frenetica attesa. Seguii gli ultimi allenamenti di Francesco al Centro Deportivo Olimpico, andai nel suo "rifugio" alla periferia di Città del Messico, dove viveva con la moglie Carla Merz, la figlioletta Francesca di un anno e mezzo, il massaggiatore Giorgio Gamberini, sua moglie Anna e il meccanico "Cerè" Fucacci.
Non mancarono i momenti di svago. Per esempio una sera a cena con Gianpaolo Ormezzano, che, in un ristorante argentino, mi magnificò la bellezza della sua compagna, facendomi vedere con orgoglio una sua foto. E, domenica  23, feci una visita allo straordinario Museo Nazionale di Antropologia, dove acquistai un sarape (l'abbigliamento tradizionale maschile) per il mio piccolo secondogenito, Steve. Nel parco intorno al Museo vidi anche i mariachi, i tradizionali suonatori messicani. L'indomani fu il giorno della grande impresa.
Moser era scalpitante. La telecronaca Rai era di Adriano Dezan, lo speaker ufficiale Attilio Monetti, ritrovai anche il mio amico Vittorio Adorni, che per altro era il mio assicuratore e Pierluigi Bisceglia, un operatore Mediaset che avevo conosciuto ai tempi di Antenna Nord. Sentivo insomma un po' "aria di famiglia". Moser fu fenomenale e strapazzò il suo fresco record portandolo a 51,151. Trasmisi il pezzo al mio giornale attraverso la telescrivente dell'albergo e poi tornai in Italia. A Milano, pochi giorni dopo, era già pronto il mio libro L'ora di Moser, pubblicato dall'editore Forte, con le foto di Corrado Corradini. In Messico non mi ero accorto, e nessuno me l'aveva detto, che Carla, la moglie del campione, nei giorni dei record era al quinto mese di gravidanza.
Lo scoprii qualche mese dopo, quando il 19 maggio, alla clinica San Camillo di Trento, diede alla luce il secondogenito, Carlo. E Francesco, al quale regalai una copia del mio libro sulla sua impresa, in cambiò regalò a Gente, in esclusiva, la prima foto del piccolo Carlo tra le sue braccia, scattata dall'indimenticabile Norberto Zini, lo stesso che, quattro anni prima,  al mio fianco aveva scattato le prime foto ai sei gemelli Giannini.

sabato 23 maggio 2020

1978 La telecronaca finita con una bugia

Il primo maggio 1978 si svolse la ventiduesima edizione della 30 chilometri di marcia di Sesto San Giovanni, storico evento internazionale dello sport del "tacco e punta". Io feci la telecronaca, che andò in onda su Antenna Nord in differita. Arrivai allo stadio Breda di Sesto, luogo di partenza e di arrivo, con l'operatore, Norberto Zini e Giulio Palumbo, che era al volante dell'auto con tettuccio apribile. Zini infatti, in piedi, avrebbe ripreso la gara, che si svolse su un percorso cittadino ed io la cronaca in diretta. Tutto andò bene fin quasi all'arrivo, quando però successe l'imprevisto, e che imprevisto... La batteria collegata alla telecamera di Zini, infatti, si scaricò completamente proprio sul più bello, e non fu possibile riprendere l'arrivo trionfale dell'azzurro Sandro Bellucci, che vinse in 2 ore 24 minuti e 21 secondi. Zini, sgomento, cercò di riparare, scattando fotografie mentre gli atleti tagliavano il traguardo, compreso naturalmente il vincitore. Quando tornammo negli studi di Antenna Nord, in via Oldofredi, l'addetto al montaggio, credo di ricordare che fosse Gian Degradi (purtroppo scomparso qualche anno fa), provvide ad aggiungere la foto dell'arrivo di Bellucci, identica a quella che propongo qui sopra, al filmato girato per quasi 28 chilometri del percorso. E io, nella saletta montaggio, davanti all'immagine fissa di Bellucci al traguardo, "reinventai" la telecronaca dell'arrivo che mancava. "Ecco, Bellucci è entrato nello stadio, è solo, eccolo negli ultimi cento metri, forza Sandro, grande Bellucci, ha vinto, ha vinto. Trionfo...". E sotto l'immagine fissa fu riprodotta la scritta: "Ci scusiamo per l'interruzione video"... I telespettatori non potevano immaginare il trucco.

1978 Rischiai la vita nel lago di Bañolas

Raramente ho concentrato tante emozioni in soli due giorni. Accadde nel 1978, quando andai la prima volta in Catalogna e precisamente a Bañolas, a 24 chilometri da Gerona e 122 da Barcellona, per fare la telecronaca di un Gran Premio di motonautica. In quell'occasione: 1) dormii in un monastero; 2) mangiai per la prima volta la paella; 3) rischiai di morire nelle acque del lago di Bañolas. Entro nei dettagli. A quel tempo ero uno dei collaboratori più assidui di Antenna Nord e Giorgio de' Bartolomeis (scomparso nel 2015), allora presidente da un anno della FIM (Federazione Italiana Motonautica), si rivolse a Lillo Tombolini, direttore dell'emittente, per avere la copertura televisiva di alcune gare. Fui scelto io e quell'anno feci ben tre telecronache: una all'Idroscalo di Milano, una a Bañolas e una a Parigi, sulla Senna.
Per il servizio in Catalogna partii con la piccola troupe al seguito (Giambattista Reduzzi e un altro operatore del quale purtroppo non ricordo il nome) e con un volo Alitalia arrivammo a Barcellona. Qui eravamo attesi dagli organizzatori dell'evento motonautico e fummo accompagnati a Bañolas. Quella sera mangiammo all'aperto in un ottimo ristorantino e qui avvenne il mio primo incontro ravvicinato con la paella (ma anche con la sangria). La notte dormimmo in tre stanzette, piccole e molto spartane, dell'antico monastero di Sant Esteve. Mai avrei immaginato di trascorrere una notte da... monaco. Il giorno dopo ci accompagnarono al lago, dove si sarebbe disputata la gara. Ci lasciarono in punto in riva al lago dove sarebbe arrivato uno del club motonautico organizzatore per portarci in  motoscafo alla postazione a noi destinata. Cominciò la gara, alla quale partecipava il pluricampione mondiale Renato Molinari ma nessuno era ancora venuto a prenderci, eravamo nervosi.
Mentre Molinari era già in testa (poi vinse) arrivò trafelato quello che doveva essere il nostro "taxista" (si fa per dire), ci caricò in fretta e furia e ci "catapultò" verso la nostra postazione, viaggiando sul lago però, a tutta "manetta", in senso contrario alla gara. Prima di sdraiarmi sul motoscafo per non vedere il momento dell'impatto e della nostra fine, feci in tempo a vedere Molinari che si sbracciava rivolgendoci contro chissà quali e quanti epiteti. Ci andò bene, è vero, ma una cosa è certa: quel giorno rischiai (rischiammo) di morire e  adesso non sarei qui a raccontare l'episodio. La giornata finì in modo lieto. La corriera che ci avrebbe riportato a Barcellona sarebbe partita troppo tardi, allora cercammo un taxi. Due taxisti si rifiutarono, a causa della distanza, il terzo accettò. Ma alla fine del viaggio, appunto di oltre 120 chilometri, ci disse: "Yo soy el taxista mas tonto de Bañolas". In serata, con una passeggiata nelle Ramblas, finì, la nostra giornata che aveva rischiato di essere l'ultima della nostra vita.

giovedì 21 maggio 2020

2005: A casa di Milva la Rossa

Avevo già conosciuto Milva al Festival di Sanremo del 1974, ma quello fu un incontro molto breve, per strapparle qualche battuta, subito dopo che lei finì di parlare con Gabriella Farinon. Nel gennaio del 2005, invece, sono stato un'ora e mezza in casa di Milva la Rossa, nel pieno centro di Milano.
A parlare dell'Italia, dove è sempre stata meno amata che all'estero,  del governo Berlusconi che a suo dire non la faceva lavorare, della figlia avuta da Maurizio Corgnati, del Festival di Sanremo, dei talenti emergenti della canzone italiana e via e via. Una bella e corposa intervista che finì con una nota triste: "Il mio amore con il professor Roberto Bertozzi, che dura da sette anni, sembra finito. Lui non ha più telefonato". Ma con  un'appendice a sorpresa. Milva mi chiamò in redazione due giorni dopo, fortunatamente prima che l'articolo venisse pubblicato. "Sa, a proposito del professore... Non so come dirlo", mi spiegò "la situazione non è più come ho detto a casa mia. Roberto mi ha telefonato. Mi ha detto "Rivediamoci, ti prego". Ecco, vede com'è la vita? La situazione si è ribaltata nel giro di poche ore".

1980 Grazie ai Giannini smisi di fumare





















Il 16 giugno 1980 smisi di fumare. Non è una data da entrare nei libri di storia, ma per me è importante perché è legata a un evento significativo della mia carriera. Il giorno prima infatti, domenica 15, mi trovavo a Soci, in provincia di Arezzo, per il battesimo dei sei gemelli Giannini: Linda, Giorgio, Francesco, Roberto, Fabrizio e Letizia, nati tra le 4,17 e le 4,24 dell'11 gennaio all'ospedale fiorentino di Careggi. Io ero il responsabile dell'esclusiva mondiale che avevo ottenuto  per il mio settimanale, Gente, diretto dall'indimenticabile Antonio Terzi e il giorno prima, appunto, ero inquieto perché la Rusconi Editore aveva investito dei soldi per quell'esclusiva, ma tanti giornali, tante agenzie fotografiche, avrebbero fatto carte false pur di "strapparci" qualche scatto abusivo.
Fino a quel momento avevamo fatto servizi o all'ospedale o a casa di Rosanna e Franco Giannini, in via Michelangelo e quindi non avevamo corso rischi. Ma era previsto addirittura un corteo preceduto con la banda per accompagnare la "superfamiglia" da via Michelangelo alla chiesa di San Nicolò e quindi eravamo "scoperti".  Conoscendo le tecniche e le strategie dei "paparazzi" temevo (e con me anche il nostro fotografo Norberto Zini) che qualcuno si appostasse o su un tetto o alla finestra di qualche abitante accondiscendente. Alle 16,30 arrivò la banda (anzi due perché si riunirono elementi di quella di Soci e di quella di Bibbiena) ed io ero agitatissimo. Allora fumavo ancora, anche se da tempo mi ero messo in mente di smettere.
Neanche io fossi la guardia del corpo del presidente degli Stati Uniti,
continuavo a guardare in alto, in basso, a destra, a sinistra, ogni movimento appena strano mi metteva in allarme. Zini faceva il suo lavoro e io... vigilavo, fumando una sigaretta dopo l'altra. In chiesa non potevo fumare, ma continuavo a controllare persona per persona. E all'uscita riprese la mia agitazione massima. Continuai a fumare fino quando con Norberto Zini non lasciammo Soci. Alla fine della giornata feci il conto: avevo fumato sessanta sigarette, tre pacchetti. Mediamente allora ne fumavo venti, un pacchetto. Avevo il voltastomaco. Il giorno dopo, 16 giugno, mi resi conto che quella era la volta buona. Quel giorno non avevo voglia di mettere una sigaretta in bocca, ovvio, ma avevo capito che era il giorno giusto per smettere definitivamente. Sensa se e senza ma. E così fu. Grazie ai gemelli Giannini.