domenica 14 giugno 2020

1984 All'Olimpiade di Los Angeles

Quando, da ragazzo, mi misi in testa di diventare giornalista, mi posi degli obiettivi, o meglio, dei sogni: partecipare come inviato almeno a un Festival di Sanremo, a un’Olimpiade, a un mondiale di pugilato, uno sport che amavo molto, a un Giro d’Italia e intervistare qualche personaggio famoso. A parte il Giro, del quale mi dovetti accontentare di qualche spicciolo, tipo l’arrivo all’Arena di Verona  dell’ultima tappa (la crono individuale) del 1981, con il trionfo di Giovanni Battaglin, gli altri obiettivi li ho centrati tutti. Ho assistito al mondiale dei superwelter Wba tra Luigi Minchillo e Mike McCallum al PalaLido di Milano il 1° dicembre 1984, ho fatto una scorpacciata di interviste importanti (da Enzo Bearzot a Carlo Bergonzi, da Alberto Bevilacqua a Nicolò Carosio, da Bernard Hinault a Gorni Kramer, da Maria di Savoia  a Gustav Thoeni, eccetera), ho seguito a Sanremo tre Festival della canzone italiana (1973, 1974 e 1975) e ho seguito a Los Angeles i Giochi della XXIII Olimpiade, dal 28 luglio al 13 agosto 1984. E fu proprio la partecipazione a quell’Olimpiade, alla quale parteciparono  6929 atleti di 140 Paesi, a procurarmi le emozioni 
tra le più forti della mia carriera. In particolare mi è rimasta nel cuore la sfarzosissima cerimonia d’apertura, al Los Angeles Memorial Coliseum, dove si era già tenuta quella dei Giochi del 1932. Io avevo la mia postazione, nel settore T3-T4 riservato alla stampa, nel posto 20 della fila 36. In quel caldo pomeriggio ero fuori di me dall’emozione, oltretutto, voltandomi indietro, potevo vedere dietro una vetrata blindata, il presidente dehgli Stati Uniti, Ronald Reagan… Il ragazzino che a 18 anni e mezzo, nel 1963, si era offerto come collaboratore sportivo alla Gazzetta di Parma di via Emilio Casa, adesso era l’inviato di un importante settimanale italiano, Gente, alle Olimpiadi! Il primo colpo di scena fu l'atterraggio a sorpresa, sul terreno del Coliseum, di Bill Sooter, un tecnico della Nasa, munito della stessa apparecchiatura che consentiva agli astronauti di passeggiare nello spazio. A questo colpo di scena fece seguito uno straordinaio spettacolo che ricostruì la storia degli Stati Uniti. Quella notte, nella mia stanza dell’hotel Figueroa, feci un po’ fatica ad addormentarmi, tanta era stata l’emozione.
Quella 
fu un’Olimpiade fruttuosa per la squadra azzurra (14 ori, 6 argenti e 12 bronzi), ed io ebbi molto da fare (interviste a Edith Gufler, argento nel tiro con la carabina, Alberto Cova, trionfatore nei 10mila metri, Norberto Oberburger, oro nel sollevamento pesi, Mauro Numa, oro nel fioretto individuale e a squadre, Vincenzo Maenza, oro nella lotta greco-romana e Daniele Masala, oro individuale e a squadre nel pentathlon moderno) mentre l'altra inviata di Gente, Carla Pilolli, scriveva articoli di "colore". Furono due settimane intense, di grande lavoro e trasferimenti da una location dei Giochi all'altra (per esempio andai anche a Palo Alto, a una cinquantina di chilometri da San Francisco, per vedere Italia-Cile ai quarti di finale del calcio) ma anche con qualche parentesi di svago, come quando, io e un collega di un altro settimanale, ci ritagliammo un pomeriggio per andare a Disneyland, a una quarantina di chilometri da Los Angeles. Avevo l'invito per assistere anche alla cerimonia di chiusura dei Giochi, ma non ci andai, perché l'indomani all'alba sarei ripartito per l'Italia. Ero lontano dalla famiglia da tre settimane e non vedevo l'ora. Così la cerimonia me la vidi alla Tv del Figueroa.

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