lunedì 25 maggio 2020

1984 In Messico per l'ora di Moser





















Il gennaio 1984 fu all'insegna di Francesco Moser e l'Also Enervit del dottor Sorbini che patrocinava  e assistiva il suo tentativo di battere il record dell'ora, invitò  in Messico i giornalisti delle più importanti testate italiane per dare il maggior risalto possibile all'impresa. Io andai per Gente e partii giovedì 19 dalla Malpensa. Con un volo Lufthansa arrivai ad Amsterdam e da lì proseguii il viaggio su un altro volo Lufthansa diretto a Città del Messico. Quando arrivai al mio albergo, il Chapultepec, scoprii che Moser aveva già battuto il record di Eddie Merckx e, superando la barriera dei 50 orari, l'aveva portato a 50,808. Mi fu spiegato però che il record non era stato programmato per quel giorno.

Doveva essere un test sui 20 chilometri, ma Francesco aveva proseguito. Il tentativo "ufficiale" restava programmato per lunedì 24 e dovevano arrivare ancora tanti giornalisti, nonchè personaggi come Alfredo Martini, Vittorio Adorni e perfino Enzo Bearzot, CT della nazionale di calcio. Presi il contatto con Corrado Corradini, fotografo dell'agenzia di Sandro Girella, che era già lì da due giorni e ci avrebbe dato il servizio, così mi immersi nell'atmosfera della frenetica attesa. Seguii gli ultimi allenamenti di Francesco al Centro Deportivo Olimpico, andai nel suo "rifugio" alla periferia di Città del Messico, dove viveva con la moglie Carla Merz, la figlioletta Francesca di un anno e mezzo, il massaggiatore Giorgio Gamberini, sua moglie Anna e il meccanico "Cerè" Fucacci.
Non mancarono i momenti di svago. Per esempio una sera a cena con Gianpaolo Ormezzano, che, in un ristorante argentino, mi magnificò la bellezza della sua compagna, facendomi vedere con orgoglio una sua foto. E, domenica  23, feci una visita allo straordinario Museo Nazionale di Antropologia, dove acquistai un sarape (l'abbigliamento tradizionale maschile) per il mio piccolo secondogenito, Steve. Nel parco intorno al Museo vidi anche i mariachi, i tradizionali suonatori messicani. L'indomani fu il giorno della grande impresa.
Moser era scalpitante. La telecronaca Rai era di Adriano Dezan, lo speaker ufficiale Attilio Monetti, ritrovai anche il mio amico Vittorio Adorni, che per altro era il mio assicuratore e Pierluigi Bisceglia, un operatore Mediaset che avevo conosciuto ai tempi di Antenna Nord. Sentivo insomma un po' "aria di famiglia". Moser fu fenomenale e strapazzò il suo fresco record portandolo a 51,151. Trasmisi il pezzo al mio giornale attraverso la telescrivente dell'albergo e poi tornai in Italia. A Milano, pochi giorni dopo, era già pronto il mio libro L'ora di Moser, pubblicato dall'editore Forte, con le foto di Corrado Corradini. In Messico non mi ero accorto, e nessuno me l'aveva detto, che Carla, la moglie del campione, nei giorni dei record era al quinto mese di gravidanza.
Lo scoprii qualche mese dopo, quando il 19 maggio, alla clinica San Camillo di Trento, diede alla luce il secondogenito, Carlo. E Francesco, al quale regalai una copia del mio libro sulla sua impresa, in cambiò regalò a Gente, in esclusiva, la prima foto del piccolo Carlo tra le sue braccia, scattata dall'indimenticabile Norberto Zini, lo stesso che, quattro anni prima,  al mio fianco aveva scattato le prime foto ai sei gemelli Giannini.

sabato 23 maggio 2020

1978 La telecronaca finita con una bugia

Il primo maggio 1978 si svolse la ventiduesima edizione della 30 chilometri di marcia di Sesto San Giovanni, storico evento internazionale dello sport del "tacco e punta". Io feci la telecronaca, che andò in onda su Antenna Nord in differita. Arrivai allo stadio Breda di Sesto, luogo di partenza e di arrivo, con l'operatore, Norberto Zini e Giulio Palumbo, che era al volante dell'auto con tettuccio apribile. Zini infatti, in piedi, avrebbe ripreso la gara, che si svolse su un percorso cittadino ed io la cronaca in diretta. Tutto andò bene fin quasi all'arrivo, quando però successe l'imprevisto, e che imprevisto... La batteria collegata alla telecamera di Zini, infatti, si scaricò completamente proprio sul più bello, e non fu possibile riprendere l'arrivo trionfale dell'azzurro Sandro Bellucci, che vinse in 2 ore 24 minuti e 21 secondi. Zini, sgomento, cercò di riparare, scattando fotografie mentre gli atleti tagliavano il traguardo, compreso naturalmente il vincitore. Quando tornammo negli studi di Antenna Nord, in via Oldofredi, l'addetto al montaggio, credo di ricordare che fosse Gian Degradi (purtroppo scomparso qualche anno fa), provvide ad aggiungere la foto dell'arrivo di Bellucci, identica a quella che propongo qui sopra, al filmato girato per quasi 28 chilometri del percorso. E io, nella saletta montaggio, davanti all'immagine fissa di Bellucci al traguardo, "reinventai" la telecronaca dell'arrivo che mancava. "Ecco, Bellucci è entrato nello stadio, è solo, eccolo negli ultimi cento metri, forza Sandro, grande Bellucci, ha vinto, ha vinto. Trionfo...". E sotto l'immagine fissa fu riprodotta la scritta: "Ci scusiamo per l'interruzione video"... I telespettatori non potevano immaginare il trucco.

1978 Rischiai la vita nel lago di Bañolas

Raramente ho concentrato tante emozioni in soli due giorni. Accadde nel 1978, quando andai la prima volta in Catalogna e precisamente a Bañolas, a 24 chilometri da Gerona e 122 da Barcellona, per fare la telecronaca di un Gran Premio di motonautica. In quell'occasione: 1) dormii in un monastero; 2) mangiai per la prima volta la paella; 3) rischiai di morire nelle acque del lago di Bañolas. Entro nei dettagli. A quel tempo ero uno dei collaboratori più assidui di Antenna Nord e Giorgio de' Bartolomeis (scomparso nel 2015), allora presidente da un anno della FIM (Federazione Italiana Motonautica), si rivolse a Lillo Tombolini, direttore dell'emittente, per avere la copertura televisiva di alcune gare. Fui scelto io e quell'anno feci ben tre telecronache: una all'Idroscalo di Milano, una a Bañolas e una a Parigi, sulla Senna.
Per il servizio in Catalogna partii con la piccola troupe al seguito (Giambattista Reduzzi e un altro operatore del quale purtroppo non ricordo il nome) e con un volo Alitalia arrivammo a Barcellona. Qui eravamo attesi dagli organizzatori dell'evento motonautico e fummo accompagnati a Bañolas. Quella sera mangiammo all'aperto in un ottimo ristorantino e qui avvenne il mio primo incontro ravvicinato con la paella (ma anche con la sangria). La notte dormimmo in tre stanzette, piccole e molto spartane, dell'antico monastero di Sant Esteve. Mai avrei immaginato di trascorrere una notte da... monaco. Il giorno dopo ci accompagnarono al lago, dove si sarebbe disputata la gara. Ci lasciarono in punto in riva al lago dove sarebbe arrivato uno del club motonautico organizzatore per portarci in  motoscafo alla postazione a noi destinata. Cominciò la gara, alla quale partecipava il pluricampione mondiale Renato Molinari ma nessuno era ancora venuto a prenderci, eravamo nervosi.
Mentre Molinari era già in testa (poi vinse) arrivò trafelato quello che doveva essere il nostro "taxista" (si fa per dire), ci caricò in fretta e furia e ci "catapultò" verso la nostra postazione, viaggiando sul lago però, a tutta "manetta", in senso contrario alla gara. Prima di sdraiarmi sul motoscafo per non vedere il momento dell'impatto e della nostra fine, feci in tempo a vedere Molinari che si sbracciava rivolgendoci contro chissà quali e quanti epiteti. Ci andò bene, è vero, ma una cosa è certa: quel giorno rischiai (rischiammo) di morire e  adesso non sarei qui a raccontare l'episodio. La giornata finì in modo lieto. La corriera che ci avrebbe riportato a Barcellona sarebbe partita troppo tardi, allora cercammo un taxi. Due taxisti si rifiutarono, a causa della distanza, il terzo accettò. Ma alla fine del viaggio, appunto di oltre 120 chilometri, ci disse: "Yo soy el taxista mas tonto de Bañolas". In serata, con una passeggiata nelle Ramblas, finì, la nostra giornata che aveva rischiato di essere l'ultima della nostra vita.

giovedì 21 maggio 2020

2005: A casa di Milva la Rossa

Avevo già conosciuto Milva al Festival di Sanremo del 1974, ma quello fu un incontro molto breve, per strapparle qualche battuta, subito dopo che lei finì di parlare con Gabriella Farinon. Nel gennaio del 2005, invece, sono stato un'ora e mezza in casa di Milva la Rossa, nel pieno centro di Milano.
A parlare dell'Italia, dove è sempre stata meno amata che all'estero,  del governo Berlusconi che a suo dire non la faceva lavorare, della figlia avuta da Maurizio Corgnati, del Festival di Sanremo, dei talenti emergenti della canzone italiana e via e via. Una bella e corposa intervista che finì con una nota triste: "Il mio amore con il professor Roberto Bertozzi, che dura da sette anni, sembra finito. Lui non ha più telefonato". Ma con  un'appendice a sorpresa. Milva mi chiamò in redazione due giorni dopo, fortunatamente prima che l'articolo venisse pubblicato. "Sa, a proposito del professore... Non so come dirlo", mi spiegò "la situazione non è più come ho detto a casa mia. Roberto mi ha telefonato. Mi ha detto "Rivediamoci, ti prego". Ecco, vede com'è la vita? La situazione si è ribaltata nel giro di poche ore".

1980 Grazie ai Giannini smisi di fumare





















Il 16 giugno 1980 smisi di fumare. Non è una data da entrare nei libri di storia, ma per me è importante perché è legata a un evento significativo della mia carriera. Il giorno prima infatti, domenica 15, mi trovavo a Soci, in provincia di Arezzo, per il battesimo dei sei gemelli Giannini: Linda, Giorgio, Francesco, Roberto, Fabrizio e Letizia, nati tra le 4,17 e le 4,24 dell'11 gennaio all'ospedale fiorentino di Careggi. Io ero il responsabile dell'esclusiva mondiale che avevo ottenuto  per il mio settimanale, Gente, diretto dall'indimenticabile Antonio Terzi e il giorno prima, appunto, ero inquieto perché la Rusconi Editore aveva investito dei soldi per quell'esclusiva, ma tanti giornali, tante agenzie fotografiche, avrebbero fatto carte false pur di "strapparci" qualche scatto abusivo.
Fino a quel momento avevamo fatto servizi o all'ospedale o a casa di Rosanna e Franco Giannini, in via Michelangelo e quindi non avevamo corso rischi. Ma era previsto addirittura un corteo preceduto con la banda per accompagnare la "superfamiglia" da via Michelangelo alla chiesa di San Nicolò e quindi eravamo "scoperti".  Conoscendo le tecniche e le strategie dei "paparazzi" temevo (e con me anche il nostro fotografo Norberto Zini) che qualcuno si appostasse o su un tetto o alla finestra di qualche abitante accondiscendente. Alle 16,30 arrivò la banda (anzi due perché si riunirono elementi di quella di Soci e di quella di Bibbiena) ed io ero agitatissimo. Allora fumavo ancora, anche se da tempo mi ero messo in mente di smettere.
Neanche io fossi la guardia del corpo del presidente degli Stati Uniti,
continuavo a guardare in alto, in basso, a destra, a sinistra, ogni movimento appena strano mi metteva in allarme. Zini faceva il suo lavoro e io... vigilavo, fumando una sigaretta dopo l'altra. In chiesa non potevo fumare, ma continuavo a controllare persona per persona. E all'uscita riprese la mia agitazione massima. Continuai a fumare fino quando con Norberto Zini non lasciammo Soci. Alla fine della giornata feci il conto: avevo fumato sessanta sigarette, tre pacchetti. Mediamente allora ne fumavo venti, un pacchetto. Avevo il voltastomaco. Il giorno dopo, 16 giugno, mi resi conto che quella era la volta buona. Quel giorno non avevo voglia di mettere una sigaretta in bocca, ovvio, ma avevo capito che era il giorno giusto per smettere definitivamente. Sensa se e senza ma. E così fu. Grazie ai gemelli Giannini.

domenica 17 maggio 2020

1978 Quello show prima di Milan-Inter


Il derby Milan-Inter del 12 marzo 1978 è entrato indissolubilmente nei ricordi della mia carriera perché mi coinvolse direttamente, assieme agli amici e colleghi Lorenzo Lovecchio ed Eugenio Gallavotti. Tutti e tre infatti collaboravamo ad Antenna Nord e con Eugenio avrei poi condotto il programma del lunedì San Siro Ieri (regia di Oscar Topazzini) a corredo del campionato, seguente, quello 1978-79.  Ebbene, in occasione di quel derby (bruttissimo e noioso come ricordano le cronache, finito 0 a 0 con un rigore fischiato dall'arbitro Menegali per un inesistente fallo di Facchetti che gettò per terra la fascia di capitano -rigore poi sbagliato da Calloni-) Antenna Nord organizzò una "due giorni" memorabile. Sabato 11 marzo organizzammo un derby "vecchie glorie" al campo Radaelli di Rogoredo, con famosi campioni del passato come Lorenzi, Bolchi, Burgnich, Guarneri, Corso dell'Inter e Fogli, Barison, Frignani, Danova del Milan.
La telecronaca fu di Gallavotti e andò in onda integralmente in differita. E io ebbi l'onore di trovarmi a tu per tu con Benito Lorenzi, storico campione dell'Inter, soprannominato "Veleno" perché non la mandava a dire a nessuno. Alla sera del sabato ci fu la trasmissione in diretta Speciale derby. L'indomani fu il momento del derby, che fu preceduto dal derbyshow, spettacolo sul campo di gioco, organizzato da Lorenzo Lovecchio. Si esibirono personaggi come Beppe Grillo, Loredana Bertè, Nadia Cassini, Marina Fabbri, Maurizio Arcieri, Andrea Mingardi, perfino gli sbandieratori. Io assistetti a una breve parte dello show, in campo, e poi tornai in studio, in via Oldofredi, per condurre la parte giornalistica della giornata. Per la cronaca della partita avevo "assoldato" (senza una lira) Giuliano Molossi, figlio del grande Baldassarre e futuro direttore della Gazzetta di Parma. Mentre io conducevo la diretta in studio, con molti ospiti, mi collegavo con lui per spezzoni di radiocronaca. Ma i nostri operatori televisivi riprendevano anche il match e ci fu un andirivieni di fattorini tra lo stadio e via Oldofredi per consentirci di tramettere anche piccoli spezzoni di partita, visto che allora l'unica possibilità di trasferire una registrazione era ancora il trasporto delle videocassette... Quella fu per me una giornata indimenticabile.

sabato 16 maggio 2020

2013 "Nonsoloverdi": il "no" di Aronica

Nel settembre del 2013, dopo 5 anni e mezzo di attività,  ebbi l'idea di inserire in Pramzanblog un inserto settimanale di lirica, che intitolai  Nonsoloverdi. Sentivo la mancanza di un periodico che "navigasse" nel mondo del melodramma alla maniera dei settimanali popolari come Gente o Oggi. Volevo dare spazio alle storie più interessanti e curiose del passato, ai soci del Club dei 27 e alle Verdissime, alle interviste con i cantanti entrando anche nel loro privato, a un museo virtuale dell'opera riproducendo spartiti, costumi, strumenti musicali famosi, a segnalazioni di opere trasmesse in radio o alla tv. Nonsoloverdi partì in sordina il 9 settembre ed ebbe 59 visualizzazioni. Risultato un po' modesto, ma l'audience cominciò a salire subito: 77 lettori con il secondo numero, 109 con il terzo, per arrivare ai 373 del decimo, ai 440 del dodicesimo, ai 615 del quindicesimo.
Dall'undicesimo numero facevo belle copertine, come i settimanali nazionali, per esempio una con il terzogenito di Francesco Meli e Serena Gamberoni, una con Luca Salsi con l'allora compagna Virginia Tola, e poi Maria Callas nel novantesimo dalla nascita, Diletta Rizzo Marin, Maria Agresta... Per il numero 16 avevo ottime aspettative,  dato il trend in ascesa. Per altro era il numero natalizio, che usciva il 23 dicembre. Avevo preparato una copertina con una bella coppia della lirica, Roberto Aronica e Veronica Simeoni con un albero di natale sullo sfondo. Avevo già intervistato lei, mi mancava l'intervista a lui, con le stesse domande fatte a lei. Ma arrivò un no deciso e all'ultimo momento dovetti rinunciare all'intervista, la più "succosa" della settimana, e alla copertina. Così inventai un albero di Natale con incastonati nelle palline colorate i volti di tanti personaggi della lirica. In homepage scrissi che il sedicesimo numero usciva in edizione ridotta perché all'ultimo momento, per motivi tecnici, era saltata la storia di copertina. Era una bugia. I motivi tecnici erano il "rifiuto" di Aronica.
Ci rimasi male, il numero 16 ebbe solo 145 lettori e io, deluso, abbandonai , in procinto di abbandonare perfino Pramzanblog (che ora è ancora vivo, ma senza aggiornamenti regolari). Mi domandai perché Roberto Aronica avesse rifiutato l'intervista "a due" con la sua amata, che già aveva risposto alle mie domande. Già avevano accettato con piacere Luca Salsi, Maria Agresta, Alberto Gazale, Virginia Tola, Roberto Scandiuzzi, Anna Pirozzi, Aurelia Florian, Maria José Siri, Amarilli Nizza e altri... Poi mi venne in mente il perché, forse: il 17 febbraio 2009 avevo fatto un piccolo scoop su Pramzanblog con una breve intervista al tenore che mi spiegava il vero motivo perché alla prova generale della Lucia di Lammermoor era scappato singhiozzando dietro le quinte. Gli era venuta una crisi di panico e ciò gli succedeva a volte quando in scena si trovava con un coltello tra le mani. "È più forte di me" mi disse. "Quel dramma familiare è dentro di me, mi causa ogni tanto crisi del genere". Io fui il primo a contraddire la versione ufficiale del Teatro Regio che parlava di un non specificato "malessere". E l'articolo di Pramzanblog fu ripreso da Parma.Repubblica diretta da Antonio Mascolo. Forse la cosa non piacque ad Aronica e non escludo, anche se non ne sono sicuro, che se la sia legata al dito. Pazienza. Lui è rimasto un grande cantante e io sono rimasto un giornalista che quando ha in mano le notizie vere le pubblica (come Mascolo). E Nonsoloverdi, anche se non è più aggiornato, è ancora leggibile.

venerdì 15 maggio 2020

1978 I 33 giorni di Papa Luciani


Il 1978 fu l'anno di un evento storico: il brevissimo pontificato di Papa Albino Luciani, cominciato il 26 agosto e concluso 33 giorni dopo con la sua improvvisa scomparsa. Per un giornalista è una fortuna essere professionalmente coinvolto in eventi storici e io lo fui. Alla fine d'agosto di quell'anno ero ancora in forza a Eva Express, ma collaboratore a tempo quasi pieno di Antenna Nord, quindi il direttore dell'emittente di Edilio Rusconi, Lillo Tombolini, mi scelse per produrre un servizio speciale sul neo papa Luciani, già Vescovo di Vittorio Veneto e già Patriarca di Venezia. Partii per il Veneto con l'operatore Norberto Zini e visitammo i luoghi legati al neopontefice: il paese natale, Canale d'Agordo, Vittorio Veneto e Venezia, dove era stato Patriarca. Il momento più commovente fu quando ottenemmo di entrare nella cappella adiacente la basilica di San Marco dove l'allora Patriarca si rifugiava in preghiera e celebrava Messa. Immagini molto coinvolgenti.
Lo speciale ebbe successo e fu trasmesso in un'edizione speciale del Telegionale che condussi io stesso. Per me era la prima volta.  Non era trascorso nemmeno un mese
quando nella prima mattina del 28 settembre papa Luciani fu trovato senza vita nel suo letto. Era un giovedì. All'ora di pranzo ero a casa e Tombolini mi chiamò per dirmi che dovevo ancora partire per il Veneto con Zini. Tornammo dunque a Canale d'Agordo, per un nuovo speciale. Intervistai Edoardo Luciani, il fratello più vicino al papa e una nipote. Non solo erano sconvolti, ma anche perplessi per l'improvvisa scomparsa del congiunto. A lungo rimase in piedi il dubbio che il papa fosse rimasto vittima di un complotto, insomma, di un attentato. Poi, con il passare degli anni, i riflettori sul caso si spensero. Al ritorno da Canale d'Agordo il servizio andò in onda, come quello di un mese prima, al Telegiornale, che anche stavolta condussi io. Una nuova esperienza, anche se provata soltanto due volte.

1981 Villeneuve: "Sì, ho paura di morire"


Nel luglio del 1981 intervistai Gilles Villeneuve, rimasto nella storia della Formula 1 come uno dei più grandi della storia dell'automobilismo sportivo, nonostante non abbia mai vinto un titolo mondiale. Lo incontrai per Gente, ma portai con me anche un operatore di Antenna Nord, per un breve servizio che fu inserito, mi pare di ricordare, nella popolarissima trasmissione Grand Prix. Andai dunque a Lenno, sul lago di Como, nel cantiere nautico di Tullio Abbate, perché qui Villeneuve aveva acquistato una barca off-shore per navigazione di altura, lunga 11 metri e 40. La passione per le barche gli era stata trasmessa dall'amico e collega Didier Pironi e Villeneuve, che nel mondo dei motori era considerato un pilota spericolato, capace di imprese incredibili, aveva in mente di eccellere anche nella motonautica.
Sogno che non riuscì a realizzare, perché sarebbe morto 10 mesi più tardi, l'8 maggio 1982, nel circuito di Zolder, in un incidente durante le qualifiche del Gran Premio del Belgio. Lo incontrai insieme con la moglie Joanna sotto gli occhi di Tullio Abbate. Mi parlò della sua vita, della sua spericolatezza già da giovanissimo nelle gare di motoslitte, dell'amore per la moglie e i figli Jacques (futuro campione del mondo) e Melanie, dell'onore di correre per una Ferrari. Quando gli chiesi se aveva paura di morire (domanda d'obbligo quando si intervista un campione delle quattro o delle due ruote) mi rispose così: "Ho paura quando sono a casa, quando penso alla mia vita, ai rischi che corro. Ma quando salgo sulla mia Ferrari la paura scompare, non penso più a Joanna, a Jacques, a Melanie, c'entra solo la gara e la voglia di vincere".

mercoledì 13 maggio 2020

1970 Il terzo Trofeo delle Sirene

Il "Trofeo delle Sirene" fu il fiore all'occhiello della mia breve ma fortunata carriera di organizzatore di eventi. Lo chiamai così, nel '68, perché era un torneo di calcio rivolto alle istituzioni parmigiane dotate di una sirena, quindi ambulanze, carabinieri, vigili urbani...
La "Gazzetta" non aveva sirene, ovviamente, ma poteva partecipare con la sua squadra perché... organizzava il torneo insieme con i Vigili Urbani. In realtà il mio scopo era di accrescere i legami, anche sotto il profilo umano, tra noi e le istituzioni dotate di sirena. Fu un successo perché nacquero, o si consolidarono, tante amicizie. La prima edizione, con 4 squadre, fu vinta dalla Legione Carabinieri, la seconda, con sei, vide il successo dei Vigili Urbani-Dazio. Per la terza edizione, nel 1970, feci le cose in grande: riuscii a coinvolgere ben 12 squadre, allargando il torneo anche a squadre reggiane. Pensavo, allora, di espanderlo piano piano nella regione, per poi farlo diventare interregionale e alla fine nazionale. Ma l'anno dopo però "emigrai" a Milano e il progetto si arenò.
Nel,'70, dunque, furono dunque dodici le squadre, divise in due gironi. Girone A: Legione Carabinieri, Croce Rossa Parma A, croce Rossa Reggio Emilia, Croce Verde Reggio Emilia, Legione Carabinieri, Pubblica Assistenza Parma, Pubblica Assistenza, Salsomaggiorer; Girone B: Aeronautica Militare, Croce Rossa Parma B, Croce Verde Fornovo, Gazzetta di Parma, Ministero Lavori Pubblici, Vighili Urbani-Dazio. Non fu un avvio semplice perché più d'una squadra fece ricorso per la posizione irregolare di qualche giocatore avversario.
Alle semifinali si qualificarono queste quattro squadre: Pubblica Assistenza Salso, Croce Rossa Reggio Emilia, Croce Verde Fornovo e Gazzetta di Parma. Nelle due semifinali, disputate al Comunale di Salsomaggiore,  la Croce Rossa Reggio Emilia battè 2-1 la Croce Verde Fornovo dopo i tempi supplementari e la Gazzetta di Parma si impose  5-3 ai rigori contro la Pubblica Assistenza Salso. Giovedì 28 maggio, sempre al Comunale di Salso , la Pubblica Assistenza di Salso si aggiudicò il terzo posto battendo 4-2 la Croce Verde Fornovo. E la Gazzetta di Parma si aggiudicò,il Trofeo imponendosi 3-1 contro la Croce Rossa Reggio Emilia, ai tempi supplementatrri. La partita era terminata 1-1 (reti di Passerini per la Gazzetta e di Pignagnoli per i reggiani). Nei supplementari la "Gazza" sehgnò ancora con Passerini e poi con Zanlari. La formazione della "Gazzetta": Calestani (Orsatti); Bonazzi, Cocconi; Mori, Bellè, Fornari; Zanlari, Ghidini, Passerini, Barbacini, Tonarelli II (Saccani). Allenatore: Fornari.
Di quella gloriosa edizione resta un quadernetto da me compilato a mano, con i ritagli degli articoli pubblicati sulla "Gazzetta".

1969 L'appuntamento con la Madonna

Il 24 giugno 1969 il capocronista della "Gazza", l'indimenticabile Aldo Curti, mi incaricò di fare un servizio sulla "veggente di San Secondo" che da 12 anni, il 24 di ogni mese, vedeva la Madonna e le parlava, attirando folle da molte citttà. Mi disse anche che nessun giornalista era mai riuscito ad intervistarla. Ciò mi spinse a dare il massimo. Andai a Villa Baroni, una frazioncina sulla strada che porta da San Secondo a Carzeto, con Giovanni Ferraguti, fotoreporter d'eccellenza e quando arrivai vidi decine di fedeli che pregavano, attendendo "lei", Gina Menoni Ferrari, 63 anni, che ogni 24 del mese, alle 14 in punto, aveva "appuntamento" con la Vergine, durante la quale andava in trance, stava male, sudava sangue e le venivano perfino le stimmate...
La Gina alle 14 in punto si materializzò e venne a dirci che l'appuntamento era rinviato di un'ora perché noi avevamo l'ora legale, ma la Madonna no... In effetti... "Lei è un dottore, vero?", mi chiese quando mi vide. "Sì". E gli astanti, in coro: "La Gina ci prende sempre...". La "veggente" mi fece entrare in una stanza e io volli con me Ferraguti spacciandolo per mio assistente, perché ero lì per una ricerca scientifica, mi servivano anche foto. Lei ci cadde così la intervistai e lei mi raccontò tutta la sua storia, mentre Giovanni scattava. Bingo! Ma eravamo ancora in attesa dell'apparizione della Vergine. Alle 15 tutto avvenne come previsto. La Gina cominciò a star male, sudò sangue, aveva le mani piene di sangue... Ma io avevo visto che con una mano si martoriava la bocca... Ecco il trucco! Ai fedeli in estasi, finita la trance, disse che la Madonna era apparsa e che le aveva detto che la Maria era guarita. Si fece strada tremante una donna. "Sono la Maria!". "Ecco, sei guarita" proclamò la Gina. Ma si fece avanti un'altra donna. "Anch'io sono la Maria. E io?". Il mio articolo promosse un'indagine delle forze dell'ordine, un prete diede il suo contributo dando le prove agli inquirenti che la Gina "barava". E infatti fu denunciata.

domenica 10 maggio 2020

1978 Il mio inviato Giorgio Gandolfi



Nel 1978, l'anno in cui, anche se solo come collaboratore, facevo il bello e il cattivo tempo ad Antenna Nord, la televisione inventata da Edilio Rusconi, tra l'altro diedi vita a un contenitore sportivo del quale purtroppo non ricordo il nome, per il quale dovevo organizzare servizi di vario genere, dalla pallacanestro all'automobilismo, alla pallavolo, al baseball. Una specie insomma, in formato ridotto, di Domenica sportiva. Avevo bisogno di inviati" e per il baseball scelsi, ovviamente, Giorgio Gandolfi,  parmigiano come me, firma importante del giornalismo e, soprattutto "l'uomo del baseball", al punto che è entrato nella "Hall of fame" della Federbaseball. Lo mandai a fare telecronache e non potevo scegliere di meglio. Ero molto contento di ricorrere a lui perché c'era un filo, prima di coincidenze e poi d'amicizia, che ci legava. Prima cosa: in un certo senso io avevo preso il suo posto alla Gazzetta di Parma quando lui andò a Torino. Giorgio  fu sostituito in cronaca, ma "pro tempore" per un solo anno, da Paolo Chiarelli, in predicato di assunzione al Corriere della sera. Appena partito Chiarelli quel posto divenne mio. Seconda: fu lui che inventò, a 24 anni, Parma bell'arma, la strenna natalizia parmigiana sulla quale firmai un mio pezzo in sette numeri sui dieci della sua esistenza. Terzo: anche se non abbiamo mai lavorato insieme la stima reciproca si è trasformata ben presto in amicizia e abbiamo colto ogni occasione per ritrovarci, anche se a distanza. Ieri, per esempio, Giorgio mi ha inviato il ritaglio di due pagine del Guerin Sportivo a lui dedicate.
Pagine bellissime, che mi piace riprodurre qui perchè sono piene di ricordi del giornalismo che fu (ben diverso da quello copia-incolla nonché web-dipendente, di oggi). Per altro il Guerino è stato diretto per ben tre volte, in passato, da Italo Cucci, altro collega che mi riporta al mio giornalismo d'esordio quando ero ancora un giornalista dalle braghe corte. Era forse il '68 o il '69 e io sulla Gazzetta avevo scritto un pezzo su una ragazza che era diventata arbitro di calcio. Cucci venne a trovarmi e praticamente intervistò me, seduti entrambi al tavolo di una rosticceria sotto casa mia, in piazzale della stazione. Lo guardavo come un miraggio: lui era un inviato (credo di Stadio) e quel tipo di lavoro era proprio il mio sogno. Più tardi l'avrei realizzato anch'io.

sabato 9 maggio 2020

1981 In viaggio con Sebastian Coe


Lord Sebastian Newbold Coe, classe 1956, elevato al rango di Barone di Ranmore, nonché cavaliere dell'Ordine dell'Impero Britannico e dal 2015 presidente della World Athletics, ma anche presidente del comitato 

organizzatore delle Olimpiadi di Londra nel 2012, nel 1981 era più semplicemente il più grande mezzofondista del momento. Pochi mesi prima, alle Olimpiadi di Mosca, aveva vinto il titolo olimpico nei 1500 metri, titolo che avrebbe poi riconquistato tre anni dopo a Los Angeles. Ebbene, nel novembre io ebbi l'occasione di intervistarlo perché era stato insignito del titolo di "Atleta d'oro internazionale 1981" (battendo John McEnroe) e la Diadora che patrocinava il premio lo aveva invitato alla cerimonia di premiazione al Teatro Duse di Asolo, in provincia di Treviso.
Sapevo bene che al Teatro Duse non avrei avuto la possibilità di fargli una delle interviste "alla Gente”, cioè molto approfondite, ma la Diadora mi mise nella condizione di avere tutto il tempo per fargli le domande che volevo.

Così, siccome un autista andava a prenderlo all'aeroporto di Linate per portarlo ad Asolo... prima passò a prendere me. L'intervista avvenne in auto, durante il percorso Linate - Asolo. Coe fu gentilissimo ed io con il mio inglese me la cavai alla grande. Fu proprio un’intervista come si deve. Lo “sfiancai” ma lui era un mezzofondista e “tenne” molto bene. Cominciò a dirmi che amava molto l’Italia e in particolare Firenze dove aveva ottenuto il record mondiale, mi disse anche che amava molto il cold jazz e la musica classica e che con gli amici amava cantare anche se era stonatissimo, ed era pure la negazione come ballerino… Mi svelò anche che non aveva una girlfriend, ma due, cinque, dieci, cento girlfriends, una in ogni Paese… Ma che non poteva avere una fidanzata fissa, per via dei suoi impegni sportivi. Per questo il direttore di Gente, Giovanni Terzi, intitolò: “Niente sesso, sono inglese”. Ma come poteva sapere che “Seb” con le girlfriends di ogni Paese non ci aveva fatto niente? Mah.