domenica 10 maggio 2020

1978 Il mio inviato Giorgio Gandolfi



Nel 1978, l'anno in cui, anche se solo come collaboratore, facevo il bello e il cattivo tempo ad Antenna Nord, la televisione inventata da Edilio Rusconi, tra l'altro diedi vita a un contenitore sportivo del quale purtroppo non ricordo il nome, per il quale dovevo organizzare servizi di vario genere, dalla pallacanestro all'automobilismo, alla pallavolo, al baseball. Una specie insomma, in formato ridotto, di Domenica sportiva. Avevo bisogno di inviati" e per il baseball scelsi, ovviamente, Giorgio Gandolfi,  parmigiano come me, firma importante del giornalismo e, soprattutto "l'uomo del baseball", al punto che è entrato nella "Hall of fame" della Federbaseball. Lo mandai a fare telecronache e non potevo scegliere di meglio. Ero molto contento di ricorrere a lui perché c'era un filo, prima di coincidenze e poi d'amicizia, che ci legava. Prima cosa: in un certo senso io avevo preso il suo posto alla Gazzetta di Parma quando lui andò a Torino. Giorgio  fu sostituito in cronaca, ma "pro tempore" per un solo anno, da Paolo Chiarelli, in predicato di assunzione al Corriere della sera. Appena partito Chiarelli quel posto divenne mio. Seconda: fu lui che inventò, a 24 anni, Parma bell'arma, la strenna natalizia parmigiana sulla quale firmai un mio pezzo in sette numeri sui dieci della sua esistenza. Terzo: anche se non abbiamo mai lavorato insieme la stima reciproca si è trasformata ben presto in amicizia e abbiamo colto ogni occasione per ritrovarci, anche se a distanza. Ieri, per esempio, Giorgio mi ha inviato il ritaglio di due pagine del Guerin Sportivo a lui dedicate.
Pagine bellissime, che mi piace riprodurre qui perchè sono piene di ricordi del giornalismo che fu (ben diverso da quello copia-incolla nonché web-dipendente, di oggi). Per altro il Guerino è stato diretto per ben tre volte, in passato, da Italo Cucci, altro collega che mi riporta al mio giornalismo d'esordio quando ero ancora un giornalista dalle braghe corte. Era forse il '68 o il '69 e io sulla Gazzetta avevo scritto un pezzo su una ragazza che era diventata arbitro di calcio. Cucci venne a trovarmi e praticamente intervistò me, seduti entrambi al tavolo di una rosticceria sotto casa mia, in piazzale della stazione. Lo guardavo come un miraggio: lui era un inviato (credo di Stadio) e quel tipo di lavoro era proprio il mio sogno. Più tardi l'avrei realizzato anch'io.

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